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L'Ultima Sfida

 

 

 

Anna Lauwaert

 



 

L’ultima sfida

Novella

 

 

 

 

“When the Gods want to punish you, they answer your prayers

 

Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

 

Grazie a Pascale per la fedele collaborazione

 

 

Dopo sette lunghi biblici anni di solitudine, Charlotte fece un’incontro. Cioè, davanti allo scaffale delle marmellate, andò sull’estrema punta dei piedi. Si stirò fino a sentire la cintura della sua gonna scendere di diversi centimetri ed a rischiare una lussazione della spalla. Poi, coll’estremissima punta dei polpastrelli, riuscì a far oscillare il vasetto. Al momento in cui egli iniziò la sua caduta, Charlotte lo afferrò con decisione, dimostrando che questa tecnica era frutto di lunga esperienza. È dopo che le cose andarono storto. Ritornando alla sua altezza normale, abbassò i talloni di colpo e picchiò violentemente il gomito contro il carrello di merce che un venditore stava distribuendo sui ripiani dello scaffale dei biscotti. Lo spigolo del carrello colpì precisamente il nervo radiale nel suo tratto più superficiale durante il superamento dell’epicondilo. Il dolore fu folgorante e squisito (come dicono i dottori) provocando istantaneamente l’apertura della mano e quindi la caduta secondo una traiettoria obliqua e micidiale del vasetto di confettura che andò ad esplodere come una bomba ai piedi di un signore che stava lì, per puro caso, anche lui a scegliere una confettura.

-“Merde!” – disse Charlotte di riflesso, forte e distintamente. Le era scappato come il vasetto, bruscamente, assolutamente senza volerlo. Non seppe nemmeno se fosse per il dolore del gomito, l’esplosione del vasetto, la brutta figura o il pantalone di quel signore impasticciato da “Rapsodie de Fruits, Orange & Gingembre, sans addition de sucre”...

-“Aha! – disse quel signore - vous parlez français...?”

-“Mi scusi, mon Dieu! mi scusi, mi scusi... Sono mortificata...” - balbettò Charlotte.

Il ché confermò che, probabilmente, Charlotte parlava davvero francese. Addizionando il fatto che nel suo caddy c’erano già una bottiglia di Sauterne, due voluttuosi meloni Galia che significa “the wave of God” provenienti da Kikar Sedom, una valle vicina al Mar Morto dove sorgevano Sedom e Amora cioè Sodomo e Gomora, città di tutti i peccati... una confezione di 5 di Barilla che ricordava il 5 di Chanel che le donne mettono di notte invece del pigiamino, uno spicco di Parmigiano Reggiano ed il mancato vasetto di marmellata della marca St. Dalfour, il signore che era stato addestrato a ragionamenti veloci e logici, dedusse che questa signora era golosa, straordinaria connaisseur di meloni, in stato di mancanza di tenerezza e probabilmente non faceva parte delle arpie sinistroide che boicottano i prodotti in provenienza d’Israele... Positivo, tutto sommato... molto positivo.

-“Hm... Hm... Non siamo stati presentati... – disse il signore – mi permetta...” poi s’inclinò un po’ e, molto dignitosamente, disse:

-“My name is Benatar, Ruben Benatar...”

-“Un ebreo! – esclamò Charlotte dentro di sé – mancava quella...”

Sconvolta per via del succo di marmellata che cominciava a colare per terra e dell’alto parlante che aveva già detto due volte “Servizio-pulizia-nel-reparto-conserve-con-acqua”, si raddrizzò, non tese la mano nemmeno lei e balbettò:

-“Piacere... Charlotte... sì, Charlotte... Carlotta insomma... sono positivamente mortificata...”

Intanto la signora preposta alle pulizie era arrivata. Con una spugna abbondantemente bagnata, puliva la parte inferiore della gamba del pantalone del signore... L’acqua finì per correre pure nella sua scarpa al ché egli disse con un sorriso molto cortese:

-“Grazie infinite... il resto sarà per la lavanderia...”

Poi, vedendo che Charlotte stava lì completamente impappinata davanti alle schegge di vetro che lentamente sprofondavano nella marmellata come un sottomarino nella manovra di inabissamento, la prese per il braccio del gomito che aveva causato il disastro e la condusse verso il tea room sulla terrazza del supermercato dicendo:

-“Permette...”

Charlotte seguì e cominciò a riprendersi solo quando, seduti tutti e due, si accorse che la cameriera stava aspettando già da qualche minuto per prendere l’ordinazione...

-“Un caffè...” - disse Charlotte.

-“Con latte?”

-“No, un caffè normale... con acqua...” – balbettò Charlotte e poi aggiunse sottovoce alzando una mano rassegnata nella direzione della cameriera che si era già allontanata – “arabica...”

-“So! ... – disse il signor Benatar in inglese – non tutto il male viene per nuocere...”

Charlotte alzò gli occhi e, per la prima volta, guardò la sua vittima. Era un uomo d’apparenza mediterranea, alto, dalla pelle scura, abbastanza snello, coi cappelli brizzolati, occhi intensi e ciglia lunghissime. Un bel tipo... Avrebbe potuto essere un arabo, comunque un orientale e le venne in mente Kabir Bedi... Però, questo non era Bedi ma Benatar... bè si, un ebreo...

-“Scusi - disse Charlotte - come ha detto di chiamarsi? Benatar, vero? Quando ero piccola c’erano dei Benatar nella mia classe... No, no... non qua... Qui sono straniera...”

-“Lei è qui in vacanza?”

-“No, provvisoriamente stabile...”

-“Aha” - pensò il signor Benatar che alla morte di sua moglie era caduto dalla profusione verbale eccessiva nell’eccesso di silenzio – magari c’è qualcosa da raccontarci...”

-“Ah, capisco” – disse fingendo di non aver notato che Charlotte non portava una vera, bensì un anello con un diamante molto classico e discreto ma sicuramente di valore. I suoi vestiti erano poco più di stracci, tenuti bene ma assolutamente fuori moda. Chiaramente Charlotte non dava importanza né ai vestiti, né alla pettinatura. Non portava nemmeno trucco. Era l’opposto di fu sua povera moglie Violette che aveva speso un capitale per continuare ad apparire bella e soprattutto giovane. Quanti anni poteva avere questa Carlotta? Dai cappelli quasi grigi e dalle rughe si poteva dedurre.. tra 50 e 60 anni... Professione? c’erano pochi indizi... 

-“Capisco – disse un po’ furbescamente - suo marito è qua per lavoro...”

-“No - disse Charlotte cadendo nella trappola – sono venuta qua per motivi personali, non sono sposata, enfin... non più... da molti anni...”

-“Non volevo essere indiscreto...” – disse il Signor Benatar che sapeva di esserlo…

-“Non è indiscrezione” – disse Charlotte sorridendo per la prima volta il ché accentuava le rughe, soprattutto quelle amare attorno alla bocca - Ormai siamo tutti stati più o meno sposati qualche volta nella nostra vita. Ai miei tempi non c’erano vaccini contro il morbillo, la scarlattina, gli orecchioni, la pertosse, il matrimonio... Tutti i bambini facevano le malattie infantili e poi, a lungo andare, producevano anticorpi...”

-“Malattie comunque pericolose. Qualcuno ne ha tenuto dei... diciamo... postumi...”

-“Bè, si - disse Charlotte - credo che tutti noi abbiamo addosso più o meno pesanti strascichi...”

Ora, il punto importante diventò di trovare la scusa per, insomma, rivedersi... Trovare un motivo per incontrarsi un’altra volta, almeno da poter decidere se si o no da questa donna ci si potesse aspettare altro che lo spreco della migliore confettura attualmente sul mercato.

-“Mi scusi – disse Charlotte alzandosi di scatto – devo andare, il mio cane mi aspetta in macchina. Guardi, mi dispiace per il danno al suo vestito. Mi mandi la fattura della tintoria...”

Estrasse dalla sua borsetta un biglietto da visita molto formale come quelli che usavano gli uomini quando nel galateo era ancora normale di mandare un mazzo di fiori accompagnato da un cartoncino.

Il Signor Benatar si alzò per salutare, ma Charlotte si era già allontanata senza tendere la mano. Egli si risedette sorpreso, con il caffè da pagare, il pantalone da portare in tintoria e l’impressione di aver perso la partita.



C’era qualcosa che gli richiamava il gioco, tipo ping-pong. Adesso la palla era nel suo campo. Davanti a se aveva la carta da visita con nome, cognome, professione, indirizzo, numero telefonico. Era un bel cartoncino, non il solito banale Bristol, bensì una carta raffinata tipo Velin d’Arches à la cuve o Holland van Gelder 250gr con caratteri Garamond neri in rilievo... Proprio vieux jeu, antiquato...

 

Prima di tutto, occorreva chiedersi se valeva la pena continuare il gioco. Ci pensò diversi giorni. Poi, in quale maniera sferzare la prossima mossa? Chi sa se questa andava al cinema o giocava a scacchi o frequentava un fitness? Poi gli venne l’idea di semplicemente telefonare al segretario comunale del villaggio indicato sul biglietto da visita e di chiedere informazioni con una scusa qualunque.

-“Bo...- rispose il segretario comunale – Rispetto della Privacy a parte, della Carlotta non saprei cosa dire... Non è cattiva, ma è assolutamente associale... Probabilmente il più grande piacere che può farle è di non disturbarla. Se vuole mandarle un regalo, potrei sbagliarmi ma da come la conosco, io, un paco di biscotti bio per il suo cane...”

Retour à la case départ...

 

Il sabato seguente, all’uscita della sinagoga (che il signor Benatar chiamava “sin à gogo”) l’amico Efraïm si avvicinò.

-“Ti vedo preoccupato...”

-“Il dubbio, caro mio, il dubbio...”

I circuiti riverberanti si scatenarono nel cervello di Efraïm alla ricerca di un detto esaustivo di un Rabbi famoso a proposito di fede, dubbio e diatribe talmudiche. Ruben aggiunse molto pensieroso:

-“Quando sono giovani si comportano stupidamente perché sono stupide... Ma quando non sono più giovani... può essere anche furbizia... pericolosa ...”

-“Hmm, hmm... – disse Efraïm – il y a anguille sous roche...”

-Hélas, cher ami... hélas... al vecchio peccatore non viene risparmiata nessuna prova... non ancora...”

-“Ma guarda che alla nostra età non si deve tentennare perché la tregua arriva fin troppo presto... – disse Efraïm - Non rimandare a domani quel che puoi fare ancora oggi... Bè, cioè, en tout bien tout honneur... Dopo la fine dello shabbat... s’intende…”

Sì, anche quello era vero. Ruben si ricordò la sgradevole conversazione col medico di famiglia che, già diverse volte, aveva accennato alla prostata...

 

Finalmente, alla domenica mattina, Ruben si decise a chiamare Charlotte per telefono:

-“Ja?” – rispose Charlotte.

-“La Signora Charlotte?”

-“Oui.”

-“Mi scusi se la disturbo... sono Ruben Benatar.”

-“Si...”

-“Si ricorda... la confettura...”

-“Si, si…”

-“Posso disturbarla adesso o è meglio che richiami ad un orario più opportuno?”

-“No, no, adesso è perfetto...”

-“Ecco, mi chiedevo… cioè, vorrei chiederle se potessi permettermi di farle una breve visita...”

-“Quando?”

-“Anche oggi...”

-“Si, anche oggi...”

-“Grazie, allora a dopo...” – disse Ruben che era diventato assolutamente cosciente di essere stato assolutamente ridicolo.

-“Si...” – disse Charlotte che si apprestava a dare qualche indicazione sulla strada da seguire ma Ruben aveva già riappeso.

 

 


 

Egli si lasciò cadere nella poltrona accanto al telefono e sorrise perché gli tremavano le gambe dall’emozione. Aveva il palmo della mano bagnato di sudore esattamente come quando aveva iniziato a telefonare alle ragazzine, cinquant’anni fa.

 

Domenica pomeriggio. Quale tenuta per far vista ad una signora che abita in un villaggio in montagna? Dopo aver fatto la doccia, ritagliato baffi e barba con la forbicetta Dovo di Solingen e spazzolato abbondantemente i cappelli con una nuova spazzola Mason Pearson, Ruben si decise per un vestito di puro lino color beige, le scarpe Bally per piedi delicati ed il cappello Panama (vero). In ultimo si diede una spruzzata abbondante di Brutt di Fabergé. Aveva esitato a lungo tra il Royall Lyme from Bermuda ed il Citron di Fragonard. Non fu né il prezzo, né la qualità, né lo chic a deciderlo bensì il fatto che il Brutt era pubblicizzato come “Spicy Woods, Lavender, Amber and Citrus”. Il Fragonard era stato scartato velocemente perché il nome ricordava troppo Watteau. Era veramente kitch per un signore serio che si aspettava altro che gli “hazards de l’escarpolette”. C’era di più: sulla sua pelle asciutta il Brutt prendeva sapori estremamente erotici... e quello lo sapeva...

 

Il cane, un terrier tibetano bianco col nasino scuro, saltò dal divano e si mise ad abbaiare furiosamente, il ché significava l’arrivo di uno sconosciuto. Poi ci fu il ding-dong del campanello... C’era qualcuno... Charlotte andò verso la porta, fece girare la chiave ed aprì.

-“Uhuuu!!! – pensò Ruben – le gambe!!!”

Difatti Charlotte portava solo una vecchia camicia un po’ lunghina, rossa a grossi pois bianchi, che le arrivava appena sotto il sedere. Le sue mutande erano colore pelle il ché lasciava pensare che non ne portava affatto...

-“Uhuuu le gambe!!! – pensò Ruben ancora una volta. Queste gambe erano state senz’altro sportive e forse anche belle... Ormai adesso sul lato interno, sopra il ginocchio, la pelle era un po’ stropicciata. Non ancora afflosciata completamente ma nemmeno più bella tesa sopra muscoli atletici... In cima, almeno fin dove si poteva vedere... Bè forse una qual cosina di buccia d’arancio... Di sicuro non era stato così in passato.

-“Accidenti – pensò Ruben – sono arrivato troppo tardi. Dovevo venire vent’anni fa...” Quando vide che Charlotte non portava il reggipetto, pensò che stava per entrare nella tana di una femminista sessantottina...

-“Lei, qua!” – esclamò Charlotte – l’uomo dalle confetture, vero?...”

Poi le si affacciò una enorme scatola di marrons glacés alla quale Charlotte rispose con languore sorpreso:

-“Vanini?... mmmm…”

-“No, - disse Ruben – Benatar... mi scusi... non si ricorda... Già! Non si ricorda... Rubenatar...”

-“Si, si, certo... ma i marrons glacés sono Vanini! Allora è venuto fin qua?” – chiese Charlotte meravigliata di più dai marrons glacés che dall’uomo dalle confetture.

-“Sì! Si ricorda che questa mattina ho telefonato?”

-“Ah, si! Ma di solito nessuno arriva fin qua. Quando vedono la strada stretta e tormentata, si fermano all’inizio della valle e tornano indietro senza mai più farsi sentire... disgustati...”

-“Ma forse disturbo...”

È allora che Charlotte notò che stava sull’uscio dell’appartamento, non solo a piedi nudi, ma decisamente mezza nuda, con in mano un lungo pennello e pittura ad olio dappertutto, sulle mani, la faccia ed addirittura sulle cosce. Non aveva nemmeno invitato il suo visitatore ad entrare.

-“No, no... anzi... entri... prego entri... Mi dispiace di riceverla in questa tenuta indecente... Prego si accomodi, il tempo di infilare qualcosa di più decente...” ed introdusse Ruben nel salottino prima di scappare in bagno.

Il cane, completamente disinteressato, si era sdraiato nella sua cesta.

 

 



 

 

 

 

Ruben si guardò in giro e rimase sconcertato. Non sapeva cosa avrebbe dovuto aspettarsi, ma questo ammobiliamento era davvero sorprendente in una casa in un piccolo villaggio di montagna. La cucina arredata era bianca in stile classico francese. Non aveva avuto il tempo di notare i particolari mentre l’avevano attraversata. Nel salotto, poltrone di cuoio, antiche ed olandesi erano combinate con una vecchia credenza paesana molto dignitosa. Portava un enorme vassoio con servizio a caffè in argento decisamente barocco e di pessimo gusto. Uno di quei servizi Wiskeman che costano un sacco di soldi all’acquisto ed immediatamente non valgono più nulla perché mai a nessuno verrebbe la voglia di ricomperarli. Soldi buttati via. Era stato di moda cinquant’anni fa. I muri bianchi erano decorati con vecchie stampe, cartine geografiche e tele d’inizio dell’altro secolo. Il tutto, pure il tappeto tibetano di grossa lana, era in tonalità di Van Dijck Bruin abbinata a tessuti inglesi con grandi fiori a dominante rosa. Nelle vetrine erano esposte collezioni di porcellane di Bruxelles e di Kopenhaghen. Questo era forse un indizio interessante. Chi mai poteva amare le porcellane? Per terra c’erano mucchi di giornali e riviste: il Figaro, Newsweek, il Friday Times di Lahore ed il Point de Vue, images du monde.

-“Ecco!” – disse Charlotte, dopo aver velocemente buttato nella cesta della biancheria sporca, tutto quanto giaceva per terra. Non aveva indossato un bel vestitino, bensì aggiunto all’oscena camicia rossa a pois bianchi una specie di short larghissimo e lungo fin sopra il ginocchio, dal disegno a zig-zag verticale giallo e viola, completamente sbiadito, comperato 10 anni prima sul mercato di Fano.

Ruben non seppe se doveva complimentarsi per l’eleganza di questo accoutrement o fare finta di niente. Vestita così era ancora più indecente che mezza nuda. Per lui, che aveva fatto della sua vita un’apologia della bellezza e dell’eleganza del vestito, questo travestimento, peggiore di quello dei turisti americani, era proprio un offesa alla civiltà. Violette era sempre stata cosi elegante! Anche quando stava davanti ai fornelli, addirittura il suo grembiule sapeva di Haute Couture.

“Disturbo?...” azzardò Ruben.

“No, no... tutt’altro... ma come mai ... que me vaut le plaisir de votre visite?...”

-“Well... - iniziò Ruben – a dire la verità... Ho un conoscente che era un mio cliente quando anch’io avevo un commercio. Ogni tanto  mi sento in dovere di comperare qualcosa nella sua confetteria. Così mi sono trovato con questa stupida scatola di marrons glacés di cui non saprei cosa fare. Insomma, per la mia salute... Sa come sono i medici... Mi sono permesso di immaginare che una signora che rischia la vita per un vasetto di confettura, potrebbe, magari, apprezzare i marrons glacés...”

Ovviamente, non desiderava spiegare la visita burrascosa dal suo amico medico. Questo aveva fatto una smorfia per dire che, insomma, c’era qualcosa con la glicemia che poteva andare verso il diabete... No no, non un diabete grave, solo quello che si chiama “diabete senile”... Era stato uno choc e Ruben aveva quasi gridato che lui, anche se aveva la pensione, non era senile! Ma l’amico medico non demordeva. Quella era la denominazione medica esatta: “diabete senile”. Era stato un cazzotto alla sua autostima. Quel “senile”, non l’aveva digerito.

“Indovinato! – disse Charlotte – Quelli italiani, no, quelli Vanini... per Bacco!!!” e tagliò il cellophan con lo stiletto apri-corrispondenza.

-“Hmmm! Sono proprio freschi... Che profumo! Sanno di Fabergé... Ma a proposito, che ora è? Sarà quasi ora del tè... Cosa posso offrirle, caffè? Con un marron glacé ci vuole un buon caffè, arabica garantito.”

“Purtroppo, se bevo tè o caffè a quest’ora, non dormo più... Un bicchiere d’acqua, acqua semplice...”

“Solo acqua? Sono già passate le 5 p.m. A quest’ora io posso permettermi un Gin... Lei no?... Piccolo ginepro, come la Queen Mum... Confidenza per confidenza: io ho sempre sofferto di anemia per cui, sono lustri che divoro bacche di ginepro. Fanno un po’ schifo ma il Gin, almeno non mi da mal di testa.”

-“Gin? A quest’ora...? – chiese Ruben...

-“Si, ma non una bottiglia per volta. Solo un bicchierino per volta. E poi non è Tanqueray, solo un leggero Gordon’s. Se la Queen Mum è vissuta fino a 100 anni, farà bene pure a noi.”

“Capisco perché ha questo teint frais da mimosa...” – disse Ruben.

-“Aaah!!! – esclamò Charlotte estasiata- le mimose... ah! certo... Squisito! “Drôle de Drame”! Quel film è un mio preferito!”

-“Il vescovo anglicano!... - disse Ruben ridendo in modo complice – Quel vescovo anglicano! Ma sì! Gin anche per me, ma solo un dé à coudre... Devo guidare e la strada è lunga...”

-“Mon Dieu! – disse Charlotte – “Drôle de Drame”, quel film di Marcel Carné, l’avevo dimenticato... Devo avere la cassetta da qualche parte...”

Così iniziarono a chiacchierare fin quando Charlotte interruppe dicendo:

-“Il grande caldo è passato. Potremmo sederci sulla terrazza... Finalmente si respira. Ecco, la casa offre pane vero fatto dal nostro panettiere, che detto per inciso, è il migliore del Ticino; formaggio dell’alpe Porcareccio che, lui invece, è il migliore della Svizzera. Ci deve essere pure una bottiglia di vino, Villa Jelmini della Matasci.  Come dessert: marrons glacés... Non posso garantire che sia tutto kasher, ma in caso di pericolo di morte à l’impossible nul n’est tenu...”

-“No, non vorrei abusare... non avevo previsto...” rispose Ruben sorpreso.

-“Nemmeno io avevo previsto. Non ho altro da offrire perché qui la vita è spartana. Non cucino e della vostra cucina so solo che è incomprensibile per un QI normale.”

-“Come fa a sapere delle nostre regole?”

-“Ebreo? No? Non sarà mica convertito ad una qualche altra setta?”

-“Ebreo... si...”

-“Guardi, per me è questione di coscienza... Se lei parte adesso con la macchina, dopo aver bevuto mezza bottiglia di Gin, finisce in un burrone. La colpa sarà mia... C’è ben la Madonna delle Sponde che ha salvato miracolosamente Don Alberto, ma lui aveva bevuto vino da messa... Non so se la Madonna farebbe lo stesso miracolo per un ebreo...”

-“È forse meglio essere prudenti e, visto così, mi sento costretto ad accettare...”

 

Andarono sulla terrazza. Anche il vento si era calmato. La brezza calda spazzava l'afa del giorno e portava ondate di profumo di uva americana quasi matura. A destra una siepe di gelsomino bordava la terrazza. A sinistra stavano pini mughi in grandi vasi di terracotta come enormi bonsai. Tutto attorno fiorivano rose, gerani ed altri fiori gialli che potevano essere varietà diverse di girasole o margherite.

-“Mi fa pensare ad una canzone.” disse Ruben.

-“Erev shel shoshanim, netze’ na’ el habustan...” canticchiò Charlotte e per rispondere al suo sguardo sorpreso aggiunse:

-“Eh si, una serata tra le rose, andiamo nel giardino… Quando ero in pensionato, avevamo delle compagne sefardite…”

 

Due lungi assi di larice appoggiati su cavalletti di legno formavano una tavola e le sedie da giardino erano disparate. Il crepuscolo stava risalendo lungo le valli. Le cime delle montagne erano ancora illuminate. Il cielo non era abbastanza scuro per lasciar apparire le stelle. Era quasi sera. L’ombra si stava lentamente installando. Passò qualche rondinella e presto sarebbero arrivati i pipistrelli.

-“Che tranquillità, che silenzio… - disse Ruben - che solitudine anche...”

Poi andò verso la balaustra di ferro battuto e guardò i giardini sottostanti e più in basso la campagna coi i prati ed i vigneti.

-“Il suo giardino?”

-“Anche il mio... Ormai qui a fianco di montagna sono giardini sospesi... Babylone...”

-“Molto lavoro...”

-“Non direi, piuttosto, molta soddisfazione. Forse è la più grande soddisfazione nella vita: si pianta un seme, questo germoglia e dà fiori.. Oppure gli alberi: fioriscono, danno frutta, crescono...”

-“Ci sono anche alberi? ”

-“Si, abbiamo piantato meli e peri a spalliera, ciliegi, peschi... forse di più per la loro fioritura che per la loro frutta. La primavera è magnifica ed i colori dell'autunno sono splendidi.”

-“Ma non si sente troppo sola...”

-“No, c'è il cane, i gatti, tanti uccelli e poi anche gli umani della famiglia che vanno e vengono...”

-“Comunque è straniera....”

-“Si è sempre straniero...”

-“Gli indigeni?”

-“Non sono cattivi ma sono completamente associali....”

-“Aha - pensò Ruben - quello l'ho già sentito, ma nell’altro senso...”

-“Nessun contatto?”

-“Si, si... anzi, molti contatti, ma è difficile trovare un interlocutore che abbia un’opinione personale sulla scelta di Icaro...”

Intanto Charlotte aveva portato sottopiatti di cottone con motivi tirolesi, posate e vivande, bicchieri e Villa Jelmini.

-“Chi le ha venduto questo vino?" - chiese Ruben scherzando.

-“Al negozietto si prende quello che c'è...”

-“Già... vino per turisti...”

-“È vino nostrano, patriottico. Non vuol mica comperare vino straniero? E poi, seconda regola della casa: chi non è soddisfatto da ciò che passa in convento, rimedi alle manchevolezze... Io di vino non so niente... So solo che, all'indomani, ho l’emicrania o no... Per cui, se questo vino non le va bene, la prossima volta, porti qualcosa di migliore...”

-“Aha, - pensò Ruben- allora è possibile che ci sia una prossima volta...”

I pipistrelli passavano in spericolati looping e nel fondo della valle cantavano civette.

-“Comunque, - riprese Ruben - questa valle è rinomata per i suoi abitanti celebri, scrittori, artisti... ”

-“Bè si... niente di strano. Arrivano qua e trovano un posto abbastanza silenzioso per poter lavorare, dipingere, scrivere, pensare.”

Cominciava a fare frescolino. Charlotte andò a prendersi uno sciale di grossa lana e presentò un cardigan di mohair dicendo che era pure lui messo a disposizione dei visitatori.

-“Complimenti per il pane... è squisito!”- commentò Ruben dopo aver indossato il pullover.

-“Si, – disse Charlotte – è bello morbido…” senza aggiungere che, alla sua età, qualche dente mancava e le sue gengive erano diventate sensibili.

-“Nemmeno a me piacciono le croste troppo dure.”- precisò Ruben che difatti portava un quarto di vera protesi.

-“È abbastanza naturale... Fatto in casa è ancora migliore, ma per me da sola...”

-“È tanto lavoro.”

-“Sopratutto il tempo speso a cucinare è perso per fare altro.”

-“Il giardino?”

-“Si, il giardino, scrivere, dipingere...”

-“Scrive tanto?”

-“Scrivo testi che nessuno pubblica e dipingo tele che nessuno espone... È una specie di zen...”

-“Che le permette di evitare l'ulcera dello stomaco...”

-“Esattamente...”

 

Tutti e due pensarono ai dispiaceri, alle restrizioni dietetiche ed ai piccoli malanni che crescevano ogni giorno. Poi Ruben pensò con malinconia a Violette che era stata una cuoca meravigliosa. Ecco, ritrovare una donna che fosse capace di cucinare come lo faceva Violette... Con lei non aveva mai dovuto accontentarsi di pane e formaggio.

 

Sopra il Monte Tamaro si era alzato una sottile falce di luna accompagnata da una stella molto brillante.

-“Non è una stella - precisò Ruben - è un pianeta... è Marte... il rosso, il sanguinario, il Dio della guerra. In questi giorni è vicinissimo alla terra...”

-“Che sia colpa sua tutta quella irrequietezza?”

Poi scivolarono in considerazioni metafisiche e finirono per discutere la differenza dei significati tra Rab e Mar... Come mai erano andati a parlare di nozioni così sofisticate? Si, cos’era la differenza tra signore e maestro? Ovviamente Ruben era versato in materia e Charlotte era incantata. Ma cosa c’entrava con una cena rustica di pane e formaggio?

Guardarono i pianeti e le stelle. Ascoltarono le civette ed i pipistrelli ed assaporarono i profumi di uve, fiori ed erba appena tagliata. Poi Ruben si congedò mentre Charlotte ringraziava ancora per i marrons glacés.

-“È stata una bella serata...”

Si, era stata una bella serata.

Charlotte ricondusse il suo ospite fino alla sua automobile.

-“Caspisterina! – esclamò Charlotte – cruscotto di legno prezioso, sedili di cuoio, questa non è una macchina è un boudoir!”

-“Si, - disse Ruben - ho deciso di morire povero come lo fanno i grandi santi...”

-“Io vivo già da povera! – replicò Charlotte – Ho addirittura una macchina di carta pesta... Sa come ho fatto a comperarla? Ho mandato un fax a 10 rivenditori ed ho chiesto quale era il loro modello più buon mercato. Poi ho ordinato un esemplare dipinto di bianco...”

-“Ma come mai... se posso permettermi questa indiscrezione... quello, come dire... quella discrepanza tra l’ambiente e ...”

-“Quello – tagliò Charlotte ridendo con una piccola sfumatura d’amarezza – è la storia della mia vita. Famiglie facoltose e figli sciagurati... Sono una figlia sciagurata di buona famiglia...”

-“Ecco – pensò Ruben – avevo proprio ragione: questa è una sessantottina...”

 

 


 

A pensarci bene, era davvero stata une bella serata, così all’improvviso. E di nuovo si chiesero, tutti e due, se fosse il caso di rivedersi. Mancava solo la scusa. Ma le scuse si trovano ed il martedì di due settimane dopo Charlotte cercò il numero di telefono di Ruben nelle rubrica via Internet.

 

-“Errebi, je vous écoute...” – rispose Ruben su tono scherzoso, al ché Charlotte pensò che egli aveva sicuramente un telefono munito da quel aggeggio sofisticato che indica sul “display” il numero di chi chiama.

-“Buongiorno, – disse Charlotte - sono Charlotte...”

-“Buongiorno, comunque... come va...”

-“Bene e lei?”

-“Si, bene, bene...”

-“Ecco... mi sono accorta che abbiamo dimenticato di saldare il conto della lavanderia...”

-“Quale lavanderia?”

-“Bè, il pantalone dalla confettura...”

-“Ah, questo... non se ne parla più...”

-“Allora, volevo dire, venerdì questo... io dovrei passare in città... difatti devo andare in libreria...”

-“Bene – disse Ruben- vuole venire a salutarmi?... Ho un impegno fine pomeriggio, ma prima...”

-“Ma sì... mi dica l’ora...”

-“Le 14.00... suppongo che ha il mio indirizzo...”

-“Si, si... pagine bianche... rubrica Internet... alle 14.00... d’accordo...”

 

-“Benvenuta.” – disse Ruben aprendo la porta.

-“Oddio, Oddio!!! – pensò Charlotte entrando – Che casino! ma qui è molto peggio di casa mia! Mon Dieu quel fourbi!”

Era un appartamento grande ma talmente ingombrato che si riduceva ad un mero corridoio di passaggio… Si doveva stare attenta a non toccare, per inavvertenza, l’uno o l’altro scaffale che avrebbe fatto crollare tutto il resto come il famoso domino.

Charlotte strinse le braccia ed il guinzaglio di suo cane lungo il corpo e seguirono Ruben verso l’unica poltrona che non era intasata da libri, oggetti, cose e stravaganze. Pappagalli ara camminavano in libertà ed ispiravano terrore ai visitatori. Il povero cane si appiattì sotto la poltrona e non si fece più vedere fino alla fine della visita...

-“Preeeego... – disse Ruben – si accomodi...”

Per far bella figura, Charlotte, questa volta, per una volta, si era vestita da donna: escarpins color tête de nègre ed in tono, borsetta comperata espressamente per l’occasione, collant moda con lycra brillante 20 den, gonna corta marrone ed ampio maglione beige che avrebbe dovuto dissimulare qualche imperfezione della sua silhouette. Come gioielli portava semplici bracciali d’oro, una spilla ed orecchini di diamante, molto BCBG (bon chic, bon genre). Però, all’improvviso Charlotte fu colpita da un dettaglio che stonava! C’era un incredibile disordine tra oro bianco dell’anello e della spilla e l’oro giallo dei bracciali e degli orecchini... Bè... non aveva niente di più assortito. Così, all’improvviso, sentì terribilmente quello screzio che denotava una imperdonabile mancanza di gusto... Accidenti! A ripensarci adesso, avrebbe dovuto mettere tutto oro giallo poiché pure i suoi occhiali erano bordati di giallo. No! Avrebbe dovuto mettere le perle. Subito si sentì imbarazzata e si sedette sul bordo della poltrona con le dita incrociate depositate sopra le ginocchia strette, dopo aver tirato la gonna il più in giù possibile. Perché mai aveva pensato di mettere una gonna stretta e corta invece di metterne una lunga ed ampia...

Ruben invece era relax, a casa sua e completamente cool... Colpivano i suoi grandissimi occhiali rotondi bordati di rosso e la sua camicia blu con pesciolini azzurri... Al collo portava una grossa catena ed all’anulare un anello con un simbolo ebraico che era sicuramente un ricordo di suo padre.

Charlotte diede un’occhiata discreta. Sui muri spiccavano diverse tele moderne, non figurative dai colori molto vivi con gialli e rossi incandescenti.

Uno dei pappagalli seguitava a dire “Baruch... Baruch...”

-“Parlano davvero?” – chiese Charlotte  per rompere il ghiaccio.

-“Si – disse Ruben – ma sono pigri... Ayelet, vieni qua, dì un po’ bene Baruh Abba...”

-“Baruuuuh Abbaaaaa” – ripeté il pappagallo. Doveva essere una femmina. Prima venne ad appollaiarsi sullo schienale dietro Ruben. Poi gli mordicchiò l’orecchio in modo terribilmente voluttuoso come per significare a Charlotte che qui l’amante era lei e non c’era posto per nessun’altra femmina.

Il cane si spinse ancora un po’ di più sotto la poltrona.

-“Un tè?”- chiese Ruben.

-“No grazie – disse Charlotte inventando una scusa al volo – Difatti non posso stare troppo a lungo perché la mia macchina fa un rumore strano e vorrei passare in garage ancora questa sera...”

Chiacchierarono di libri, pittura, biblioteca e collezioni. Alla morte di sua moglie, Ruben aveva iniziato a mettere ordine nelle cianfrusaglie della casa. Poi, un oggetto attirandone un altro, era caduto nella trappola delle collezioni. Era diventata una passione, un modo inconscio di riempire il vuoto, una ragione per correre alle mostre ed alle aste, non per acquistare ma per conquistare. I suoi figli erano ai quattro angoli del mondo. Violette aveva occupato lo spazio di tutta una vita con le sue stravaganze, i suoi capricci, la sua voce acuta e la sua frenesia di vivere. Tutto di un tratto, con lei era sparita la vita stessa e Ruben era cascato nel vuoto. Così, lentamente, aveva iniziato a frequentare più assiduamente concerti e musei e collezionare. Aveva pure iniziato a frequentare la sinagoga rimproverando quotidianamente l’Altissimo per la morte di Violette e la solitudine venuta troppo presto. Ora che si erano ritirati dagli affari e che avrebbero potuto godersi la vecchiaia viaggiando e visitando i loro figli, il lutto lo aveva reso sedentario e rinchiuso.

-“Aha... – pensò Charlotte – adesso capisco perché vive coi pappagalli...”

Poi parlarono dei loro figli.

-“I figli... – disse Charlotte, pensierosa – Hanno i loro problemi, le loro idee, le loro soluzioni... Io non reggo più... Mi sveglio di notte e sono angosciata davanti alla difficoltà della loro vita. Se avessi saputo come il mondo in cui devono vivere sarebbe diventato barbaro, non avrei avuto figli. Non mi perdono il mio egoismo: ho desiderato dei figli ed ora non sono capace di aiutarli. Se i giovani capissero quanto la vita è dura e deludente, non avrebbero più figli... Quando capisci, è troppo tardi...”

Nei tempi si facevano figli perché non si sapeva come non farli. Si pensava che i figli fossero una benedizione. Chi sa se il mondo era sempre stato così terribile... probabilmente... Ma si poteva anche parlare di argomenti meno drammatici.

Quindi, Ruben aprì una vetrina che conteneva una favolosa collezione di netsuke e piccole sculture erotiche giapponesi.

-“Hm, hm – disse Charlotte per apparire completamente indifferente alle posizioni oscene dei piccoli personaggi che si accoppiavano indecentemente – avorio... antico... Purtroppo il divieto del commercio d’avorio non ha fatto altro che far salire i prezzi sul mercato nero... poveri elefanti...”

E da lì passarono ad un armadio pieno di statue e maschere africane, l’una più spaventosa dell’altra. Sicuramente erano state acquistate presso antiquari o commercianti d’oggetti d’arte che non lesinavano sui prezzi.

-“Peccato – disse Charlotte – peccato che quando eravamo in Africa i miei genitori non erano sensibili all’arte... Avremmo potuto portare oggetti meravigliosi...”

-“È stata in Africa?” – chiese Ruben sperando di ricevere qualche dettaglio.

Charlotte fece solo quello stesso gesto triste con la mano e che non aveva significato che per se stessa. Non aggiunse nulla, invece si alzò dicendo al cane:

-“Chai, vieni amore... andiamo...”

Il cane uscì prudentemente da sotto la poltrona guardandosi attorno per evitare ogni incontro improvviso con questi orribili uccellaci pieni di piume variopinte e dai versi rauchi. Si strinse vicino alle gambe della sua padrona e tirò sul guinzaglio in direzione della porta d’uscita.

-“Come si chiama?” – chiese Ruben sorpreso.

-“Si chiama Chai” – disse Charlotte 

-“Chai... la vita…- ripeté Ruben pensieroso ma senza chiedere ulteriori informazioni – Grazie per questa brevissima vista... Magari ci rivediamo?...”

-“Certo, ci rivediamo... Sarebbe il tempo giusto per andare a visitare le Isole di Brissago, prima che chiudano per l’inverno...”

Ma Ruben non aveva nessuna voglia di visitare isole né di Brissago così umide, né di altrove. Charlotte prese congedo senza che un altro appuntamento fosse stato fissato.

-“A proposito – disse Ruben chinandosi sopra il corrimano centrale della scala mentre Charlotte stava già scendendo  – sa chi è Ruben?”

-“Certo! Quel mascalzone che vendette il suo fratellino agli arabi...” disse Charlotte sghignazzando per la frecciatina birichina.

E poi Ruben sentì sbattere il portone d’entrata.

 


  

Per Ruben seguì un periodo intenso perché per Rosh ha Shana andò a Londra da sua sorella e per Kippur volle essere presente nella sua comunità, partecipare alle preghiere e compiere i riti con una concentrazione tale da staccare addirittura @mail e telefoni fin dopo Shemini Atzeret. Così arrivò metà ottobre.

 

Charlotte invece si chiese se fosse il caso di telefonare oppure di aspettare un cenno. Sfilarono diverse settimane che comunque passarono molto svelto poiché erano ricominciate le lezioni di Tai Ci e di chitarra, inoltre il giardino richiedeva una bella pulizia autunnale e la messa a riposo in vista dell’inverno.

 

Una mattina suonò il telefono e senza nemmeno presentarsi Ruben chiese:

-“Nevica già da voi?” allorché in tutto il cantone splendeva il sole in un cielo assolutamente terso.

-“Bè si – rispose Charlotte – qui non si riesce ad uscire da casa, anzi non passa nemmeno più il bus postale... e da voi?”

-“Ma, qui, nell’emisfero sud è pieno estate... Ha voglia di visitare una mostra di oggetti esotici?”

Charlotte disse di sì, senza precisare che gli oggetti esotici non l’interessavano, invece si rallegrava di rivederlo.

 

Dopo la visita si sedettero su di una panchina e scambiarono qualche confidenza. Ruben aveva addirittura osato scherzare sul fatto che Charlotte fosse ossessionata di non perdere le chiavi della sua automobile.

-“Ma si! – si giustificò Charlotte – mi capita regolarmente di chiudere la macchina e di lasciarci le chiavi dentro. Significa aspettare il soccorso stradale per ore. Sono sempre più distratta. Guardi, quando si arriva a depositare le mutandine sporche nel forno della cucina...”

-“O nel frigorifero invece della lavatrice...” – tagliò Ruben ridendo.

-“Allora anche lei?” – chiese Charlotte meravigliata.

-“Ma si... anch’io... la distrazione è il privilegio delle grandi menti...”

Charlotte l’aveva guardato con ammirazione e pensato che, tutto sommato, questo era davvero un uomo squisito! Il leitmotiv della sua vita era stato quella considerazione di Boileau “Un beau désordre est un effet de l’art”. Che ora il disordine le invadesse pure la mente era quasi metafisico e condividerlo diventava la quintessenza, anzi la sublimazione dell’arte. L’art pour l’art: la perfezione.

 

Da lì iniziarono a scambiarsi messaggi via @mail il ché semplificò molto la loro relazione: non si doveva né vestirsi dalla domenica, né percorre una lunga strada, né affrontare gli uccellaci dalle piume variopinte.

Un giorno Ruben si permise un accenno al sesso ed agli amanti, un po’ più spinto, al ché ricevette una risposta che lo lasciò di stucco:

-“Ah- scrisse Charlotte – amanti... dopo la cinquantina ho perso il conto... La pace dei sensi è una benedizione del Cielo.”

Ruben rimase perplesso perché non c’era modo di capire se “la cinquantina” significasse dopo una cinquantina di amanti o dopo cinquanta anni. Ambedue erano sconvolgenti. Egli stesso era stato l’uomo di una sola donna, sua moglie, che aveva amata ed onorata come prescritto. Una qualche piccola parentesi non meritava nemmeno di venir menzionata. Ma questa piccola donna dai cappelli quasi grigi e dalle apparenze così BCBG, anzi goffa... cinquanta amanti! Cinquant’anni li aveva tutti, certamente, ma cinquanta amanti? Era incredibile, anzi, era pura follia! Questo meritava un’indagine approfondita e la verifica che non fosse solo figura di stile, modo di dire o altro scherzo dal fatto che forse non padroneggiasse bene la lingua.

Arrivarono a fissare un vero appuntamento. Charlotte fece del suo meglio per evitare i pappagalli. Ruben provò di evitare la lunga strada di montagna stretta tra i suoi 250 tornanti. In fine fu deciso che sarebbe comunque stato lui a spostarsi. Si presentò a casa di Charlotte con un mazzo di crisantemi giapponesi kudamono giku di color salmone ed una bottiglia di Golan Heights Yarden Chardonnay…

-“Golan!” - esclamò Charlotte

-“Bè, sì... – rispose Ruben sorridendo – bisogna sostenere la propria tribù e poi… in questo vino potrà ritrovare il sapore del frutto della passione, l’ananas, le noci ed addirittura il limone… ma soprattutto la passione…”

Per il King David era troppo presto, quello lo teneva in riserva per una very special occasione.

 

Alla fine del pomeriggio, non faceva più abbastanza caldo per star seduti sulla terrazza. Charlotte aveva acceso il camino e la sera veniva presto. Si sedettero sul divano davanti al fuoco e parlarono del tempo, delle conseguenze di un estate troppo caldo e della mancanza di precipitazioni. Certo, se l’isotermo di 0°C rimaneva a 4000m i ghiacciai potevano solo sciogliersi molto in fretta e dopo? Le pressioni delle acque sotterranee sarebbero cambiate. Le sorgenti che alimentavano le valli erano destinate a prosciugarsi? E allora? Sarebbe la desertificazione? L’abbandono dei villaggi come era successo a Fathepur Sikri? Bel problema...

-“Ma lei dipinge? – chiese Ruben – Certo che con una natura così bella viene voglia di dipingere...”

-“Si – disse Charlotte – ci sono periodi in cui la luce è così bella che si starebbe tutto il giorno a guardare. Il bisogno di dipingere viene naturalmente.”

-“Mi piacerebbe vedere qualche esempio dei suoi lavori...”

Charlotte prese un grosso raccoglitore e mostrò le fotografie dicendo che gli originali erano rinchiusi in un armadio.

-“A quanto li vende?”

-“Non sono in vendita. Ho chiesto a qualche galleria per fare una mostra. Ma, siccome non faccio parte di nessun partito politico, loggia massonica, chiesa o club, non ho ammazzato nessuno, non sono nemmeno lesbica, né richiedente d’asilo, non ho un nome conosciuto, sono una donna e straniera, non c’è nessuna possibilità che qualcuno voglia esporre i miei dipinti. Sono straniera ma bianca e con le carte in regola. Se fossi di colore e senza documenti sarei un caso interessante. Una sans papiers con produzione artistica sarebbe capace di valorizzare il partito politico che farebbe la mia promozione...”

-“Se sono belli...”

-“Non c’entra la bellezza, c’entra solo il marketing. È come il mercato dei libri. Vengono pubblicate delle imbecillità che si vendono bene perché beneficiano di pubblicità e perché l’autore fa parte di una scuderia... Tutto lì... Scrivo e dipingo solo per me.”

-“Questo quadro ad esempio a quanto lo venderebbe?”

-“Non lo so, comunque non è in vendita.”

-“Tutto è in vendita, è solo questione di prezzo.”

-“Allora dico 1000F.”

-“Troppo caro - disse Ruben abituato a mercanteggiare, anzi che si divertiva molto a mercanteggiare – offro 250F

-“Guardi – disse Charlotte con un tono seccato – questo quadro vale 20F per la tela + 20F per la cornice + 5F per la pittura + 1 ora di lavoro; totale: massimo 100F. Però, quello che sta dietro, i 50 anni di solitudine e di sofferenza che portano a dipingere una valle immersa nell’oscurità dell’inverno, questo non ha prezzo...”

-“Ma allora, che cosa ne fa?”

-“Io, niente, al limite, per i miei eredi, sarà ottimo materiale per accendere il camino…”

 


 

 

Prese l’album delle fotografie e lo chiuse dicendo:

-“Venga piuttosto a vedere il ritratto del mio cane...” e condusse Ruben attraverso l’appartamento verso una grande stanza che era tappezzata da scaffali stracolmi di libri. Nell’atrio passarono davanti ad un comò sul quale troneggiavano molte fotografie.

-“L’altare degli antenati...” – disse Charlotte.

-“Questa? – chiese Ruben indicando la foto di una giovane donna vestita con calzoncini cortissimi ed aggrappata ad una parete rocciosa e strapiombante – è lei?”

-“Si – sono stata io... nei giorni dei tempi felici...”

Ruben guardò da più vicino e pensò che questa foto spiegava le gambe e braccia muscolosi, ovviamente la piccola donna aveva un passato bello sportivo.

-“Va ancora in montagna?”

-“No... Il branco continua la sua migrazione mentre gli animali feriti rimangono indietro. Vengono abbandonati e diventano vecchi solitari...”

-“Ma adesso ha messo il cuore in pace...”

-“No – disse Charlotte chinando il capo in modo pensieroso – non sono riuscita ad “elaborare il lutto...”

-“Il lutto?”

-“Si fa per dire... Quando si porta i propri cari in terra sono morti, ma sono lì. È una certezza.  Non più poter seguire il ritmo normale da un sentimento di dubbio, di abbandono.”

-“Aspetta il ritorno di qualcuno?”

-“ No.”

-“Non serve nemmeno pensarci...”

- “Non serve pensarci però rimane la delusione.”

 

Nella biblioteca erano appesi diversi dipinti.

-“Lei ha seguito corsi accademici ?”

-“Accademia d’arte? No... Le scuole d’arte sono per i fabbricanti. Io disegno e dipingo e scrivo da quando sono nata. Le tecniche s’insegnavano nella scuola media. Per il resto, quando uno disegna o dipinge ogni giorno, cerca, impara, studia, sperimenta... Va a visitare mostre e musei, legge libri di teoria... Johannes Itten…”

-“I grandi artisti vanno alle accademie…”

-“No. Non si diventa artista, si nasce artista. Quelli che imparano sono fabbricanti, operai, magari anche bravi. Hanno imparato bene i principi della prospettiva, dell’armonia dei colori, della composizione di una scena. Questo non è arte, è un lavoro come un altro. L’artista è quello che d’istinto dipinge quello che sente. Quando è finita la tela, tutto è perfetto: la composizione, l’accostamento dei colori, tutto... È come un poeta. S’impara l’ortografia, regole e forme. È possibile costruire delle poesie, ci sono addirittura dizionari delle rime. Il vero poeta prende la matita e scrive quello che esce dalla sua emozione, ed è li, perfetto, non si può cambiare una virgola... Nessuno può costruire una poesia di Baudelaire, nessuno può costruire un dipinto di Gérome Bosch...”

-“Quale è il suo preferito?”

-“Appunto: Bosch, Magritte, Permeke...”

-“A me piace molto Chagall, ma mi piace anche l’arte non figurativa contemporanea...”

-“Aaah... – disse Charlotte con smorfia di disprezzo... - troppi ciarlatani... Troppi trucchi per ingannare i creduli... troppo business...”

Avrebbero potuto discutere per ore e chiaramente nessuno dei due avrebbe cambiato parere perché erano due mentalità diverse.

Ruben aveva lavorato nella sartoria di suo padre fin da bambino poi aveva imparato la professione. Aveva finito la sua carriera come manager trasformando progressivamente la piccola bottega in un atelier di moda rinomato. Aveva seguito le sfilate a Parigi e New York ed era diventato esperto nella gestione seria e fiorente. Era stata una vita concreta di lavoro, di commercio e di business.

Invece Charlotte aveva inseguito le chimere tra libri e cime di montagne. La sua professione medica aveva richiesto quasi più intuizione che conoscenze scientifiche. Era un’altra mentalità.

-“Niente musica?”- chiese Ruben.

-“No, purtroppo, non suono nessuno strumento, mi manca... Per questa ragione seguo lezioni di chitarra... È senza speranza... Ma continuo a ripetere la partitura del Jesus Bleibet Meine Freude come esercizio fisico e spirituale. Il suono crea onde positive per illuminare il mio plesso solare. E lei?”

-“Un po’ di sassofono... Mi ricorda Glenn Miller... A proposito ho visto che possiede addirittura due chitarre...”

-“Ah, si...- rispose Charlotte – vorrei poter dire che une serve a suonare Django Reinhardt e l’altra Fernando Sor... Invece la realtà è più deludente.. Tutti, un giorno o l’altro, hanno creduto che la chitarra è facile da suonare... Ogni tanto mi ne viene regalata una che è rimasta per anni appesa ad un muro come decorazione o addirittura dimenticata in solaio...”

-“E non ascolta musica, nemmeno in sottofondo?”

-“Ho lì molta bella musica – disse Charlotte mostrando uno scafale di CD ed aprendo un armadio colmo di vecchi long playing – ma non riesco più a fare diverse cose in una volta. O ascolto musica o scrivo o dipingo o rigoverno le stoviglie. Oggi ho il lusso di poter fare una cosa per volta. Mi piace sempre di più il silenzio...”

-“E legge molto...”

-“Si, leggo molto.”

-“Diverse lingue... anche in tedesco...” chiese esaminando un ripiano di libri in fiammingo.

-“Si diverse lingue ma non il tedesco, almeno se posso evitare, evito...”

-“Come mai?”

-“Sarà un’antipatia congenita... Fin da bambina ho sentito le storie della guerra, di mio padre nel campo di concentramento...”

-“Campo di concentramento? - chiese lui alzando la testa di scatto - ma non siete ebrei? ”

-“No. Allora, da noi non era indispensabile essere ebrei. Una mattina arrivava l’ordine militare di marcia. Il giorno dopo si era sul fronte e tre giorni dopo in un campo di concentramento, in Austria...”

-“Ma guarda – disse Ruben pensieroso – a me che sono ebreo questo è stato risparmiato, mentre a voi che non lo siete...”

 

Ritornarono in salotto.

-“Dovrei affrontare con lei un problema spinoso.”- disse di punt’in bianco Charlotte.

-“Sentiamo...”

-“Mi piace la sua compagnia, ma uno degli elementi centrali nelle relazioni tra persone è la condivisione dei pasti... Ecco, devo confessare che sono una pessima cuoca, che odio cucinare ed in più... Come già detto: non so niente delle vostre tradizioni culinarie... D’altra parte non possiamo mangiare pane e formaggio ad ogni pasto...”

-“Anche a me questi obblighi danno fastidio – disse Ruben diventato serio – ma ormai, o si accettano e si seguono seriamente o non si accettano... ed in più... Visto che faccio parte di una piccola comunità, io devo essere presente in sinagoga ogni mattina ed ogni sera per la preghiera... Anche tutte le volte che ci sono feste... e quelle non mancano... Naturalmente osservo anche le direttive dello shabbat...”

-“Ma lei ci crede davvero all’esistenza di Dio?”

-“No... cioè... Non è una questione di fede. È che abbiamo la Legge e proviamo di ubbidirci...”

-“Allora forse è questa la prova dell’esistenza di Dio...”

-“Quale?”

-“Bè, che Dio si stia divertendo giocando con noi...”

-“Giocando con noi?”

-“Si... Dio prende un libero pensatore e gli fa incontrare un cattolicissimo membro di Comunione e Liberazione. Oppure combina un cristiano con un ebreo. Oppure un ebreo con un buddista. O un buddista con un musulmano. O un musulmano con un ateo... È un gioco, anche crudele, un po’ come quei poveretti in pasto alle belve del Colosseo...”

-“Già... se Dio esiste... a furia di stancarsi dell’eternità... perché non potrebbe farci questi scherzetti... E se Dio non esiste, allora la nostra unica speranza di paradiso è qui, durante questa vita, su questa terra... ed anche questa sera...”

-“Comunque, oggi lei non sarà presente per l’ufficio della sera...” – disse Charlotte chiedendosi, appunto, per quale castigo di quello stesso Dio le era capitato un individuo complicato invece di un uomo normale che ti porta a ballare il venerdì sera e a mangiare le costine di maiale il sabato.

-“No – disse Ruben - ed è contrario alla mia convinzione... Sgarro il meno possibile... solo raramente...”

-“Allora sono privilegiata...”

-“Si, in un certo modo... Ma anch’io ho una domanda: come mai è riuscita a collezionare tanti amanti?”

-“Ah - rispose Charlotte in modo del tutto naturale come se la cosa fosse ovvia – L’unico uomo che ho amato è morto molto giovane. Avevo 30 anni. Anzi, a trent’anni ero stata spostata, avevo avuto dei figli, ero divorziata e poi sono rimasta vedova. Ho cercato disperatamente a prolungare la sua presenza. Nessuno gli assomigliava. Poi ho voluto dimenticarlo, ma quello non mi riusciva. Ho voluto rimpiazzarlo e quello era ancora più difficile... Quindi, ad un certo punto, dopo 20 anni di tentativi inconcludenti, mi sono rassegnata... Sono la donna di un solo uomo... Ragion per cui sono rimasta sola da moltissimi anni...”

-“La donna di un uomo solo ma con cinquanta amanti...” disse Ruben pensando che questa era roba da capogiro, riscontrabile unicamente nella logica femminile.

-“Ho perso il conto davvero... Per un tempo ho tenuto una statistica... ma non risolveva niente... Era troppo deludente. A lungo andare ho smesso di pensarci... Mi sono rassegnata a non cercarlo più... Ho pianto, pregato, supplicato... in vano... Poi ci sono state le occasioni mancate. Per un periodo, attorno ai quarant’anni, tutti i miei conoscenti erano sposati. Poi, progressivamente, hanno iniziato a divorziare ed a godersi la libertà ritrovata. Ci sono pure stati gli incroci infelici. Sarebbe forse bastato un cenno. Non c’è stato. Ognuno ha proseguito la sua strada solitaria pensando che l’altro non sarebbe stato interessato. Ci vuole così poco per passare accanto alla felicità. Comunque per questa sera... pane e formaggio?”

-“Si, ottimo... – disse Ruben – pane e formaggio...” e finirono anche la bottiglia di vino.

 

Poi, si sedettero davanti al camino con un bicchiere di Gin. Si sedettero un pò più vicini… Ruben mise un braccio attorno alle spalle di Charlotte e l’attirò contro di se dicendo:

-“È forse andare un po’ troppo velocemente... Ci conosciamo appena... Ma alla nostra età... non c’è nemmeno più molto tempo...” Siccome Charlotte non resisteva, egli depositò un pudico bacio nel suo collo. 

 

 


 

 

Ruben si chiese come procedere. Ai tempi della sua bella gioventù non avrebbe esitato a fare l’amore davanti al camino, qui, per terra su quel buon grosso tappeto di lana tibetana. Avrebbe addirittura provveduto a lasciare una qualche macchia di modo che non si potesse mai più dimenticarlo. Però, adesso conveniva essere più circospetto... Con un menisco rotto nel ginocchio sinistro forse far sesso per terra era rischioso. Certo che se gli veniva una di quelle fitte, avrebbe dovuto saltare in piedi e addio l’erezione... Magari sul divano che era un vecchio divano bello lungo e largo ma anche lì... Quelle ginnastiche, solo vent’anni fa non gli avrebbero fatto paura... Ma non c’era un letto in questa casa?... Era un’idea banale ma, comunque, più prudente.

-“Andrei volentieri in bagno” - disse Ruben.

-“Certo!” – rispose Charlotte. Lo condusse attraverso lo stesso atrio verso il bagno. Ritornando verso il salotto, Ruben notò, davanti a se, la stanza da letto. Almeno una stanza da letto c’era. Guardò discretamente. C’era pure un letto che sembrava assolutamente un letto normale, non larghissimo, ma diciamo, un due posti stretti... Bè, per stare stretti... doveva bastare. Poi, gli scappò l’occhio verso un mobiletto nel quale si trovava una piccola tv e pensò che, aha, questa si guardava la tv comodamente installata nel letto... Sopra il mobiletto della tv c’erano due statue sicuramente africane e magari anche in legno di ebano.

-“Mi deve scusare – disse rientrando nel salotto – passando mi è scappato lo sguardo ed ho creduto di scorgere sculture africane...”

-“Ma sì! – disse Charlotte - Non gliele ho fatte vedere?”… sapendo benissimo che non gliele aveva fatte vedere. Si alzò e condusse Ruben nella sua camera da letto. A sinistra erano appese pitture ad olio africane ed a destra pitture erotiche su seta provenienti dal Kashmir e dal Radjastan. Una vetrina era piena di oggetti in ebano ed avorio.

-“Allora anche lei colleziona?”

-“No, questi sono ricordi di quando vivevo lì, oggettini comperati per caso, ricordini... Come si dice adesso: cianfrusaglie per turisti, solo che quando io ero lì, negli anni 1950, di turisti non ce n’erano.”

-“Almeno fino nella camera da letto siamo arrivati...” - pensò Ruben mentre esaminava un piccolo coccodrillo d’avorio.

Charlotte ritornò in salotto ad aggiungere legna nel camino.

Ruben diede uno sguardo più attento al letto, si, per due poteva bastare. Nell’angolo c’era la cesta del cane.

“Almeno il cane non dorme nel letto con lei!” pensò lui, molto incoraggiato. Sul tavolino inglese che serviva da comodino giaceva una placchetta di sonniferi... Allora, anche lei stentava a dormire... e la coperta elettrica e la liseuse, quello strano vestitino in lana, mohair ed angora, composto da due maniche rilegate e destinato a scaldare il collo e le spalle... C’erano anche tre paia di occhiali…

-“Chissà cosa se ne fa di 3 - pensò perplesso – bè si: uno per guardare la tivu, a vedere la catasta di libri accanto al letto, uno per leggere, ma il terzo?”…

Ruben tornò in salotto pensando che questi erano i veri valori che uniscono gli umani: l’insonnia, gli occhiali ed i reumatismi...

 


 

Si sedettero davanti al camino che aveva ripreso una bella fiamma e parlarono dell’Africa. Il tempo passò ancora un po’, fin quando, di punt’in bianco, Charlotte chiese:

-“Signor Benatar, desidera passare la notte qui? È tardi, la strada è lunga...”

-“Non le darebbe fastidio?”

-“Se mi desse fastidio non lo proporrei...”

-“Allora volentieri, ma solo se mi concede di passare la notte con lei...” disse Ruben immensamente soddisfatto per il modo letterario in cui era riuscito ad esprimer il fondo del suo pensiero. Già che vent’anni fa avrebbe semplicemente scaraventato la partner sul letto. Però, vent’anni fa non ne aveva avuto l’occasione e nemmeno il bisogno perché c’era Violette... Oddio, cara Violette... chi sa cosa stava pensando a vederlo qui occupato a sedurre un’altra donna e a dire quelle sciocchezze da vecchio pazzo...

-“Non guadare, Violette – pensò Ruben – ti supplico... non guadare che mi fai sentire ridicolo...”

Charlotte si alzò e ricomparve con un grande asciugamani blu che sapeva di lavanda, una vestaglia di velluto marrone ed uno spazzolino dei denti ancora nel suo imballaggio d’origine dicendo:

-“Prego, di qui la doccia, prenda pure il bagno per primo, intanto sparecchio la tavola...”

-“Ma guarda – pensò Ruben sotto la doccia – questa è sempre pronta a ricevere nuovi amanti! Eccomi nei panni del cinquantunesimo, se non peggio... Forse sono il sessantunesimo... È terribilmente frustrante... Forse ha, addirittura, fatto le righette per quattro verticale con una obliqua per il cinque come lo facevano i cow-boy sul calcio del fucile. Domani mattina io sarò una righetta in più... sconvolgente... ”

E poi si chiese se lui sarebbe stato una righetta dritta oppure quella obliqua che marca il 5...

Quando uscì dalla doccia, si tolse la protesi dentaria e la spazzolò accuratamente. A casa sua, avrebbe depositato il suo “masticatore” nell’apposito vasetto in cristallo di Baccarat colle pastiglie effervescenti... Ma qui, non voleva fare brutte figure... Si spazzolò i denti e si rimise la protesi. Non poté impedirsi di dare un’occhiata allo scaffale tra la doccia ed il lavabo. Un’insalatiera di cristallo su piede d’argento conteneva ogni sorta di collane. Un posacenere conteneva orecchini. In un bicchiere da birra stavano una decina di pennelli da pittura ad olio con le setole all’insù. Tra i vasetti di creme per le mani e scatoline di trucco stavano bidoni di diluente universale e tinner per pulire i pennelli... 

 

Finalmente Ruben infilò la vestaglia, raggiunse a piedi nudi Charlotte che stava chiudendo tende e persiane ed ebbe piacere a sentire la morbida lana e seta dei tappeti del Kashmir.

-“Prego – disse Charlotte, mi aspetti pure in camera, vado in bagno ed arrivo subito.”

Anche lei fece una breve doccia, spazzolò i denti e poi aprì l’armadietto farmacia pensando:

-“Io, sicuramente, avevo un tubo di gel lubrificante vaginale... Accidenti, chi sa dove l’ho messo? Che colore aveva già? era rosa... No... no, no era un tubetto azzurro con scritta chiara “vagiqualcosa”... Ma, che l’abbia buttato via? Forse era scaduto, bè, da sette anni... si capisce...”

Il tubetto era scomparso e Charlotte si unse generosamente le zone intime con la “nivea soin de jour activant” che di solito si spalmava sul viso. Visto che questa sera aveva un ospite nelle vicinanze strette, non era il caso di presentarsi col viso appiccicoso... Poi infilò la sua vestaglia, le pantofole slippers “Toffole” di lana cotta made a Caselle d’Altivole ed andò in camera.

Ruben aveva risolto il problema del pudore nascondendosi sotto il piumone. Com’era imbarazzante svestirsi davanti a questo uomo quasi estraneo e che viveva con dei pappagalli. Certamente svestirsi vent’anni fa non era stato un problema poiché aveva avuto un corpo non perfetto ma tranquillamente mostrabile e poi era stata un’amante, ma sì, diciamolo pure, fantasiosa e focosa...

-“Ebbene – pensò Charlotte – saltiamo il fosso il più naturalmente possibile...” Si tolse la vestaglia che appese all’apposito gancio, lentamente, come se si fosse svestita ogni sera davanti agli occhi curiosi di un guardone.

Ruben ebbe una visione globale immediata. Le gambe erano mica male, pure le natiche ed anche i seni. Bè, così piccoli stavano in piedi per forza ma era meglio piccoli sodi che grandi afflosciati... Ripensò a quella barzelletta che si era raccontata tra liceali “les petits coquins sont devenus de grands pendards”... Dove non funzionava era la pancia... pancia decisamente troppo prominente. Lì qualcosa era sproporzionato... Fu allora che vide una lunga cicatrice che partiva dal fianco destro e scendeva sotto la pancia fino al pube. Dall’altra parte c’era un’altra cicatrice che circondava la parte sinistra della pancia proprio come un cerchio. A quel momento Charlotte si girò e si scoprì una terza lunga cicatrice che scendeva lungo la colonna vertebrale fino in mezzo alla natica sinistra...

 

-“Oddio – pensò Ruben – che macello... Ecco perché si tiene sempre un po’ storta e chinata in avanti... Chi sa cosa sarà successo...”

-“Sta guardando le mie cicatrici...- disse Charlotte – Ormai... colpi di sciabola, un duello... per una donna... che poi mi ha comunque lasciata per un’altro...” Poi anche lei s’infilò sotto il piumone.

Ruben si ricordò le parole della canzone di Serge Reggiani: “la femme qui dort dans mon lit n’a plus vingt ans depuis longtemps...”

Invece il cane che non era abituato a queste visite invadenti venne a guardare da vicino cosa stava facendo la sua padrona, come per dire:

-“Ma quello... non avrà mica intenzione di occupare il mio posto?”

-“Vai sul tuo lettino” – gli disse Charlotte. Il cane andò lentamente a sdraiarsi nella cesta che si trovava nell’angolo della stanza. Si sdraiò ma comunque continuò a tenere gli occhi aperti e la situazione sotto controllo.

Charlotte si strinse vicino a Ruben con la testa nell’apposito incavo della spalla. Non era male perché egli aveva la pelle morbida e fresca e poi c’era davvero il Fabergé che stava prendendo sfumature caramellate da tabacco Clan.

 

-“Adesso – pensò Ruben che aveva provveduto ad un’erezione dignitosa – meglio non rischiare per via del ginocchio... Mo! me la faccio venire sopra... Così avrà pure l’impressione di dominare... Alle donne piace...” Con la mano destra invitò Charlotte a salire sopra di lui.

-“Già – pensò Charlotte – ma non ci siamo ancora baciati... Bè tanto meglio: lasciamo i baci come eventuale variante...”

Intanto era salita sopra di lui e tentarono di accoppiarsi. All’inizio fu problematico... Poi Ruben la penetrò di colpo e dopo solo qualche movimento eiaculò potentemente con ovvia soddisfazione e lasciando Charlotte insoddisfatta e sorpresa per tanta fretta. Almeno quando si masturbava raggiungeva deliziosi, intensi, lunghissimi orgasmi… Decisamente il sesso così sciatto richiedeva molto impegno e non produceva nessuna soddisfazione. Cioè, il beneficio era fallimentare rispetto all’investimento…

-“Bè... - disse Ruben dopo qualche minuto, per distogliere l’attenzione dalla sua prestazione fulminea – Come fa ad essere ancora vergine dopo una vita così avventurosa?”

-“C’est la fonction qui crée l’organe – rispose Charlotte – Durante questi ultimi anni la piaga ha avuto tempo di cicatrizzare. Non sanguina nemmeno più ma la cicatrice è retrattile...”

-“Ma come – s’informò Ruben – non ci sono trattamenti ormonali per mantenere il lucido dello smalto?”

-“Ha, questi... Sui foglietti esplicativi era sempre menzionato che queste terapie andavano bene per un sacco di cose ma nel contempo provocavano cancro del seno e dell’utero... Ho preferito stare col primo danno... E poi... questi prodotti stimolano la libidine... Si figuri per una donna della mia età che vive da sola. Cosa me ne faccio delle tempeste libidinose, dovrei pagarmi un gigolo?... I gigolo non vengono rimborsati dalle casse malati...”

-“Ma davvero è da così tanto tempo che non ha più una vita sessuale?”

-“Sette anni...”

-“Non le manca?”

-“Si, all’inizio. Ma raramente un uomo continua a vivere con una donna fisicamente diminuita, diciamo, che non è più all’altezza. Allora... bè, se ne va... Ci si ritrova da sola proprio nel momento in cui si avrebbe il più bisogno di sostegno. Dopo si rimane amareggiata e sfiduciata... Ma più che il sesso, manca il lato affettivo.”

-“Allora potrebbe avere una relazione con un uomo, ma senza sesso?”

-“Anzi – disse Charlotte – sarebbe un gran sollievo... Il sesso è diventato una specie di incubo. A pensarci adesso, mi chiedo perché ne ero ossessionata da giovane. Mi scusi, vado un attimo in bagno.”

 

Ruben rimase un po’ sconcertato. Era proprio per far sesso che lui sarebbe stato interessato ad un nuova relazione. Ma questo non era completamente vero, non era solo il sesso, no, piuttosto... Ecco la buona domanda: perché stabilire una nuova relazione? Perché non con una donna bella, giovane e focosa, bensì con una donna vecchia? Forse era la risposta al suo bisogno di pace, di tranquillità, un modo di poter rinunciare alla competitività? Finalmente non dover più essere in prima linea, all’altezza. Anzi, poter ammettere che si ritirava sotto la sua tenda e lasciava il campo di tutte le battaglie a generazioni più giovani che avevano energie ed illusioni da sfogare. Tutto sommato la rinuncia all’aggressività del sesso era una buona notizia. Semmai si doveva davvero pensare a quell’operazione della prostata, non sarebbe stato da solo a dover affrontarla. Non si sarebbe sentito diminuito. Charlotte aveva già accettato di essere una donna oltre alla menopausa e sarebbe stata un’alleata nel cammino verso la vecchiaia. Il superamento di quella soglia fatidica, insieme, sarebbe sicuramente fonte di grande complicità e tenerezza.

Alzandosi e rigettando il piumone Charlotte scoprì il corpo nudo del suo nuovo amante e vide che egli aveva una grande macchia di una specie di eczema sulla parte destra del torace.

-“Aha – pensò Charlotte – ecco perché è sempre così bello abbronzato, monsieur fa i bagni di raggi ultravioletti contro la psoriasi...”

E siccome Ruben vide che lei aveva visto, disse con finto pudore:

-“E si... lei ha fatto l’amore con un lebbroso...”

-“Fa niente – rispose Charlotte – ho un amico che lavora nella fondazione Raoul Follereau... E poi il nostro Guru guariva i lebbrosi...”

-“Bella fatica – disse Ruben – era un ebreo pure lui...”

Al ché Charlotte se ne andò sotto la doccia ridendo.

 

 


  

Il primo passo essendo superato si sdraiarono l’uno vicino all’altro e spensero la luce con l’intenzione di dormire. Riuscirono ad appisolarsi progressivamente quando iniziò a suonare un orologio. Ruben contò cinque colpi.

-“Ma che ora sarà?” – chiese a Charlotte che era sveglia pure lei.

-“Non lo so... Questa è la parigina, non suona mai la quantità giusta di colpi. Le lancette sono precise, ma la suoneria è indisciplinata... Alla sua età... è del 1865...”

-“Perché la lascia suonare?”

-“Perché mi piace il timbro così argenteo...”

Non aveva finito di parlare che si mise a suonare la pendola appesa nella biblioteca contigua. Ruben contò undici colpi. Poi si sentì nella lontananza suonare gli undici colpi di un campanile ed un po’ dopo altri undici colpi di un campanile molto vicino...

-“Non sarebbe il caso di chiudere la finestra?...”

-“No, mi piace l’aria fresca e sentire i canti degli uccelli della notte...”

Poi fu un orologio in casa con un timbro decisamente cristallino.

-“Ma quanti orologi suonano?”

-“Cinque, ma solo all’ora ed alla mezza. Questa è la pendolina della nonna. Per fortuna il Westminster di mia figlia non è caricato. Questo suona ogni quarto d’ora... con tutta la sua canzoncina. Ci sono abituata e di giorno non si notano.”

-“Non c’è l’orologio a cucù?”

-“No, quello l’ho dato al mio nipotino...”

-“Meno male” – pensò Ruben... che finalmente riuscì ad addormentarsi fin quando sentì che Charlotte si alzava.

-“Cosa c’è?” – chiese mezzo addormentato.

-“Devo alzarmi perché mi fa male la gamba...”

Charlotte andò di stanza in stanza accese tutte le luci, le spense e finalmente ritornò nel letto.

-“Come mai accende tutte le luci?”

-“A causa degli scorpioni...”

-“Scorpioni!” esclamò lui con voce inorridita ricordando di aver attraversato l’appartamento a piedi nudi.

-“Si... abbiamo scorpioni, ma solo l’italicus, non il germanicus...” rispose lei in modo del tutto naturale.

-“Ma davvero? - chiese Ruben che si era totalmente svegliato ed appoggiato sul gomito – avete davvero scorpioni?”

-“Bè, si...”

-“Grandi?”

-“Grandi... Non sono piccoli, cioè i piccoli sono piccoli, ma i grandi... Non hanno 10 cm, ma insomma, sono grandi... Non saranno quelli del Negev... Però, fanno 40 piccoli due volte all’anno. Ragion per cui quando devo alzarmi ne approfitto per fare un giro di caccia...”

-“E ce ne sono qui, dentro in casa?”

-“Da quando abbiamo installato finestre con telaio d’alluminio e zanzariere, entrano meno. Prima si ne trovavano quasi ogni notte. Una volta sette adulti nello spazio di mezz’ora! Ma era una notte temporalesca... Conveniva controllare le pantofole prima di tuffarci i piedi nudi...”

-“Che cosa ne fa?”

-“Adesso mi sono abituata... Li spengo, semplicemente... o con la bombola d’insetticida o con un legno.”

-“Li uccide?... Per un’amante degli animali...”

-“Per l’appunto, questa è una legge della natura: ogni specie difende il suo territorio. Questo è il mio territorio. Fanno quaranta piccoli due volte all’anno che a loro volta fanno quaranta piccoli due volte all’anno. S’immagina la proliferazione esponenziale e nel senso inverso l’efficace limitazione delle nascite?”

Sì, sembrava legittimo. Si sdraiarono spegnendo la luce e riuscirono ad addormentarsi fin quando furono svegliati brutalmente da un furioso scossone.

-“Cos’è?” – gridò Ruben sorpreso e scattando in posizione seduta.

-“Niente, niente – lo tranquillizzò Charlotte – è il cane che salta sul letto... Si vede che nella sua cesta ha freddo... Si sdraia qualche momento vicino a me, ma dopo, ritorna sul suo lettino...”

Il cane! Di giorno non si faceva notare, invece di notte…

-“Notte da pazzi... – disse Ruben - Almeno i pappagalli si chiudono in gabbia e sono silenziosi fin quando rimangono coperti...”

Seguì un altro tentativo per dormire ma pure questo fu interrotto da un’allegra scampanata. Charlotte si accorse che Ruben si era di nuovo svegliato e disse prima che lui l’avesse chiesto:

-“Non so perché lo fanno, ma qui ogni mattina alle 6.30 suonano le campane... Forse un abitudine superstite dai tempi in cui i privati parrocchiani non possedevano lo Swatch personale...”

Si sentì rumore nell’appartamento di sopra. Qualcuno scese lungo la scala esterna e poi ritornò una relativa calma.

Charlotte notò quanto si era abituata a tutti questi rumori che invece dovevano essere fastidiosi per altri.

Ruben non rispose e si voltò sull’altro fianco fin quando tutta la casa si mise a risuonare come l’albero di trasmissione di una vecchia locomotiva...

-“È la vicina di sopra – disse Charlotte sospirando. - Passa l’aspirapolvere. È una fanatica dell’aspirapolvere, tre volte al giorno... Stia a letto ancora un po’. Io mi alzo, esco col cane e vado prendere il pane fresco...”

 


  

Charlotte si avviò col cane nella freschezza del mattino e si sentì liberata, anzi si godette profondi respiri liberatori... Certo le piacevano le serate in compagnia, ma qui le cose stavano per complicarsi pericolosamente... Non le era mai piaciuto cucinare e adesso avrebbe dovuto riprovarci? Quello era proprio il grosso ed il più ridicolo del problema... “Mangiare” non era solo alimentare il corpo, era un insieme complicato di filosofia, cultura, tradizione, civiltà… Le persone si assomigliano, ma in fondo, quanto sono diverse! D’altra parte, mancare la sua, forse ultima, occasione di essere felice solo per un aspetto cosi prosaico? Anche quello era peccato... Ma poi, con quegli ebrei che non festeggiano nemmeno le stesse feste, ci sarebbe due volte Capodanno, due volte Pasqua, due volte Pentecoste. Lui dovrebbe tollerare il Natale e lei? Chi sa quali stravaganze con settimane intere di preghiere e digiuni... Ma perché un ebreo? Allorché lei si sentiva una donna progressista, femminista, liberata, convinta atea, ecco che le capitava un ebreo a dir poco, antiquato… e, nel contempo, così affascinante… La controparte era seducente: tutti e due parlavano diverse lingue e ne conoscevano le rispettive letterature.

Si ricordavano le poesie latine. Ruben recitava frasi in greco antico. Charlotte pretendeva che lo yiddish proveniva dal fiammingo. Però, Ruben studiava l’ebraico antico e parlava quello moderno… Poter scambiare con una persona colta era una boccata di aria fresca. Con lui la musica sarebbe ritornata in casa. Anzi, con lui Charlotte sarebbe di nuovo andata ai concerti, alle mostre e chi sa, forse avrebbe ripreso gusto a viaggiare, visitare e magari andare in vacanza, fare passeggiate... Senza parlare del piacere di scoprire un’altra cultura, quella cultura ebraica che è all’origine della civiltà giudeo-cristiana... Pourquoi pas? Ma come far convivere quei pappagalli col suo cane? Da un uomo ci si può separare, ma da un cane, no e nemmeno da pappagalli... Si dovrebbe aspettare di rimanere vedovi lui dai suoi pappagalli e lei da suo cane... Ma quei pappagalli vivono cinquant’anni... A pensarci adesso, gli ultimi anni erano stati così tranquilli, benché si fosse tanto lamentata per la sua solitudine. Sì, era solitudine ma non era da sola. Aveva il suo cane. Dopo molti dispiaceri, col suo piccolo compagno, aveva ripreso gusto alla vita ed appunto per quello l’aveva chiamato “Chai”. Erano ben felici loro due... Felici al punto di non aver nemmeno più pensato alla possibilità di avere un uomo in casa, peggio: nel letto. Un uomo in casa non era uno sgarbo nei confronti di suo cane? Com’era complicato. E adesso? Santo Cielo, e adesso? Aveva tanto sperato “incontrare qualcuno”. Ora si vergognava di aver addirittura acceso un lumino nella cappella di Sant’Antonio, il santo degli oggetti smarriti. Sant’Antonio le aveva fatto trovare un uomo pieno di complicazioni. Pure i santi fanno scherzi da preti. Ora si trovava davanti ad una difficile scelta. Se accettava la bicicletta, ci sarebbe tantissimo da pedalare. Non le era mai piaciuta la bicicletta e non era per niente sicura di avere voglia di pedalare. Magari con un tandem... accidenti, accidenti... Comunque, per il minimo, si dovevano organizzare due camere da letto ben separate... Tutto quel trambusto, valeva la pena? Si poteva anche continuare a vivere, separati come prima e solo incontrarsi per qualche breve piacevole intermezzo…

Forse questo bizzarro energumeno l’avrebbe fatta ridere... Ridere? Già, ridere... Col passare degli anni, Charlotte aveva addirittura dimenticato di ridere come progressivamente aveva trascurato la raffinatezza nell’apparecchiare la tavola. Le posate d’argento erano rimaste nel loro scrigno ed i bicchieri di Val Saint Lambert nel loro armadio, non per paura di romperli, semplicemente per mancanza di gioia di vivere...

E i figli? Cosa direbbero i suoi figli? “Mamma adesso che è quasi ora di pensare ad andare al ricovero ti metti a far l’adolescente?”...

Ed i figli “di lui”?... “Quella strega ci mangia l’eredità...” Ma forse no. Magari sarebbero tutti contenti di vedere i vecchi genitori felici insieme, forse ancora per molti anni. Diventare una di quelle coppiette che passeggiano tenendosi per mano, chiacchierano sottovoce, zoppicano un po’, ma si sostengono a vicenda. Anche per i figli dovrebbe essere bello...

 

C’era altro. Da giovane, Charlotte aveva frequentato le montagne. Aveva arrampicato,fatto trekking, sci ed escursionismo. Quando aveva deciso di andare da sola, l’aveva fatto in modo quasi scientifico imparando l’utilizzo corretto di altimetro, bussola e cartine militari. Cosi aveva imparato ad avere fiducia in se stessa: camminare fin dove si vede il sentiero e scoprire progressivamente nuovi tratti. Certo: aver “fiducia in se stessa”, invece, nel contempo, aveva perso la fiducia negli altri. Aveva vissuto molte avventure. L’unica esperienze che ancora le mancava era la tenerezza, l’amore. Che la relazione con un’altra persona fosse più difficile che la scalata di una montagna? Insomma, Ruben era una persona abbastanza normale, non un negro, né un pellerossa, né un giallo. Facevano parte della stessa civiltà. Lui era un po’ più giudeo mentre lei era un po’ più cristiana. Eppure, sembrava davvero più difficile che scalare una montagna. Comunque, lei non sarebbe mai andata a vivere in città e lui non sarebbe mai venuto a vivere in valle. Ogni sera ed ogni mattina sarebbe andato a pregare nella sua sinagoga. Che idea. Come sarebbe possibile far convivere due persone così diverse e così lontane?...

Però avevano in comune la consapevolezza di essere tra gli ultimi superstiti di un mondo che stava scomparendo.

Charlotte girava e rigirava tutto ed il contrario di tutto. Era assurdo ed incoerente ma allettante. Forse era quella la sua ultima montagna da conquistare, l’ultima sfida, cioè l’amore sbarazzato dalle arroganze della gioventù, l’amore tenerezza… Osare la tenerezza…

Però, no, decisamente, no: lei non si sarebbe rimessa a cucinare; lei non sarebbe mai andata a vivere in città e lui non sarebbe mai venuto a vivere in montagna… Anche se queste barriere tra due persone erano ridicole, queste erano barriere. “Uomini e buoi dei paesi tuoi…”

 

 

 

Quando due ore più tardi si sedettero a tavola, sulla terrazza, per fare colazione, il sole era già alto nel cielo. I croissants erano ancora caldi e l’aria era profumata da pane alle uvette, pane integrale, una grande caffettiera di caffè arabica 100% ed una teiera di tè Earl Grey. Le tazzine di porcellana Queen’s contrastavano deliziosamente con l’atmosfera campestre.

Uccelli cantavano e le cince volteggiavano tra le palline di semi appesi appositamente per loro.

Non faceva molto caldo ma con un buon pullover si poteva far colazione fuori.

 

Si sedettero l’uno di fronte all’altro.

-“Buon appetito signor Benatar...” – disse Charlotte che non voleva fare commenti sulle prodezze avventurose della scorsa notte.

-“Non vuole chiamarmi Ruben...” - chiese Ruben che non osò aggiungere che dopo una notte così travagliata, i legami diventano più stretti...

-“Ma sì, potrei provare... se a lei fa piacere...”

-“E non potremmo darci del tu?”

Charlotte depositò la tazzina e guardò Ruben con sorpresa.

-“Ma quello, forse no... - disse pensierosa – nella mia vita, le persone che ho amate di più... non ci ho mai dato del tu...”

                                              -------

“… come il sussurro di una melodia di sottofondo che accompagna la meravigliosa sinfonia della vita…” aveva detto Ruben… molto più tardi…

“Peramanter” aveva concluso Charlotte.

 

Anna Lauwaert

Loco, 2004 – 22 novembre 2020,

festa di Santa Cecilia, patrona dei musicisti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Illustrazioni:

dipinti ad olio su cartone telato 50x60 di Anna Lauwaert.

 

Copertina: Le mani che benedicono



 

Rosh haShanah la Ilanot - Capo d’anno degli alberi – Deut. XX, 19 «Non distruggere gli alberi colpendoli con la scure perché solo i loro frutti potrai mangiare»



 

Pessah - Uscita d’Egitto, il paese della schiavitù



 

Yom haShoah - Giorno della memoria: sei milioni di fiorellini dicono «Non scordarti di me»



Yom haAtzma’ut - Giorno dell’indipendenza dello stato di Israële: i giovani Sabra, «ficchi d’India» nati in Israële.



 

La sfuriata di Mosè



 

ag haShavuot, Giorno della ricezione della Torah: la Legge, cioè il «gardefou»



 

Roch haShana, Capo d’anno: Michea VII,19 «Getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati»



Yom Kippour, Giorno del perdono «apri la porta, all’ora in cui la porta si chiude perché il giorno è al suo declino. La luce si abbassa, il sole sta scomparendo, lasciaci entrare nelle tue porte»



 

Hag haSoukkot, Festa delle capanne Deut.XVI,13 «Celebrerai la festa delle capanne per sette giorni, quando raccoglierai il prodotto della tua aia e del tuo torchio; gioirai in questa tua festa, tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo schiavo e la tua schiava e il levita, il forestiero, l'orfano e la vedova che saranno entro le tue città. Celebrerai la festa per sette giorni per il Signore tuo Dio, nel luogo che avrà scelto il Signore, perché il Signore tuo Dio ti benedirà in tutto il tuo raccolto e in tutto il lavoro delle tue mani e tu sarai contento.»



 

Hanukkaha, festa delle luci : I Macc. 4, 50 «Accesero sul candelabro le lampade che splendettero nel tempio.»



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