Perché l’alpinismo?
(alpinismo “commerciale” escluso)
Prima
viene la domanda: “Alpinismo, perché?” Poi segue la risposta: “Alpinismo
perché:…” Però adesso segue un’altra domanda: “Perché l’alpinismo?”
Perché,
una persona, per rispondere ai suoi tormenti esistenziale sceglie l’alpinismo
invece della barca a vela o della bicicletta? E vice versa “Perché una persona
sceglie la bicicletta invece dell’alpinismo?” Anzi, quale è la differenza tra
arrivare in cima ad una montagna, lungo il versante erboso, con la bici ed
arrivare sulla stessa cima però percorrendo l’altro lato cioè la parete
rocciosa?
Noi,
nativi delle Fiandre, siamo a pochi kilometri dal mare, invece a 1000km dalla
montagna. I nonni di Claudio erano di Loppem a 25km da Ostenda. Suo nonno era
stato sindaco di questa città. Sarebbe stato logico e facile di praticare barca
a vela, invece, perché la montagna?
Claudio
scopre la montagna durante i viaggi coi suoi genitori che lo affidano a Lino
Lacedelli per le sue prime arrampicate.
Che
cosa ha fatto che ci avesse preso gusto?
Similmente,
ho scoperto la montagna all’occasione di una vacanza decisa mio malgrado. Per
me “vacanze” significava un mese sdraiata sugli scogli a cuocere al sole o
sguazzare nel mare caldo.
In
Sud Africa, avevo visto le montagne Drakensbergen (montagne dei draghi) e la
Table Mountain di Cape Town ma non mi avevano fatto impressione. Invece,
entrando nel Vallese, trovarmi di fronte ai picchi innevati delle Dents du Midi,
fu il colpo di fulmine. Durante le nostre passeggiate, anzi vere escursioni, mi
venne l’ossessione di voler andare sulle cime. Così, finalmente, raggiunsi il
Club Alpino Belga ed andai ad arrampicare a Freyr nell’intento di allenarmi per
andare sulle cime, camminando, si, ma, più bello ancora, arrampicando…
Suppongo
che anche Claudio abbia avuto quella stessa attrazione per le cime, però, più
che l’andare sulle cime, gli importava l’arrampicare sulle pareti per raggiungere
le cime, vale a dire che la via era più importante della meta.
Però
c’è una grande differenza tra barca a vela, bicicletta o altro sport e la montagna/roccia.
Con la barca a vela c’è di mezzo la barca, come c’è di mezzo la bicicletta o il
pallone o il paracadute, ecc… Invece in roccia c’è come dice Desmaisons: “La
montagna a mani nude”… cioè il contatto diretto corpo a corpo con la roccia,
con la montagna. È un rapporto carnale, estremo. Se la barca affonda c’è il salvagente
e magari il dingi; se la bici si rompe, si continua a piedi… Invece in roccia o
semplicemente in montagna, si è nudo, indifeso e basta un brusco cambiamento
meteorologico per provocare la tragedia come al Frêney… Qui, al Naret, diverse
persone sono morte di freddo e sfinimento a 100m dalla macchina a causa della
nebbia…
Su
di una parete rocciosa basta che si stacchi un appiglio o che cada un sasso o
una manovra sbagliata per provocare la caduta. Il ché conferisce il valore sacro
al compagno di cordata perché egli è il garante della vita.
La
Montagna possiede una componente morale e mistica. L’alpinismo non è uno
“sport”. Difatti, la montagna è la dimora degli dei ed è quando Mosè sale sulla
montagna che Dio gli parla.
Il
fascino della montagna risiede nel suo carattere estremo: l’assoluto silenzio,
la totale solitudine, il legame vitale tra i due membri di una cordata che sono
responsabili della vita, reciprocamente, ma anche l’intensità di questo legame
al punto di non aver bisogno di parlare e di sentire solo al movimento della
corda come prosegue il compagno e quindi come prosegue la roccia stessa.
Infine,
stare sulla cima di una montagna significa stare sul confine tra la terra e il
cielo, l’universo: è stare sul bordo del infinito, anzi, i piedi toccano terra
ma il corpo sta nell’infinito.
La
magia della montagna risiede nelle sue energie: i corsi d’acqua, laghi, grotte sotterranei,
il magnétismo delle rocce con alto tenore di metalli come il ferro o
addirittura la radioattività.
La
sintonizzazione della nostra energia con quella della montagna, ci permette di
uscire dai nostri limiti corporei e scioglierci con lei al punto di perdere la
consapevolezza del nostro corpo e, liberati dagli ormeggi, essere parte dell’energia
cosmica..
L’universo
è composto da “particelle”. Queste particelle sono organizzate: qualche volta
formano astri, qualche volta gerani, qualche volta umani…
Il
nostro corpo è costituito da “particelle” organizzate, contenute dalla nostra
pelle che è una forma più densa di organizzazione di particelle, animato da
energie sottili come l’elettricità, il magnetismo o l’osmosi, che si muove nell’universo
che è, pure lui, una organizzazione di particelle.
Alla
morte l’organizzazione si disfa e le particelle continuano la loro strada.
Camminando
in montagna viene quello stato in cui la contenzione delle nostre “particelle”
si scioglie lasciandoci fluire nell’universo.
Non
si ha più né caldo, né freddo, né fame, né stanchezza. Non si sente nemmeno più
né pioggia, né neve. Non c’è più nessuna apprensione né della nebbia, né degli orsi,
né dei crepacci, si va in totale distacco con tranquilla certezza, fiducia,
pace…
È
uno stato di grazia simile a ciò che raccontano le persone che hanno vissuto un’intensa
esperienza mistica o di morte imminente e sono “usciti” dal loro corpo,
liberati dal suo impedimento, addirittura dalla consapevolezza del proprio corpo.
Forse
è, inconsapevolmente, quel superamento del limite del nostro corpo che
cerchiamo, un diluirci nell’universo, un’aspirazione verso l’aldilà.
La
tragedia di Claudio era di “essere solo e disperato”, ma nel contempo viveva come
lo dice Comici: “la voluttà di superare, da solo, il vuoto e lo strapiombo”…
Quando
Terray parla della conquista dell’inutile, non è “l’inutile” ma piuttosto l’in-valorizzabile,
l’im-pagabile, l’in-finito. Non è nemmeno una conquista ma un raggiungimento,
una condivisione di uno stato di coscienza che supera la consapevolezza simile
alla meditazione trascendentale, alle esperienze di uscita dal proprio corpo
come viene studiata dalla CIA.
Saint-Exupéry,
che era uno dei primi piloti dei voli postali sopra il Nord Africa, fa dire al
Piccolo Principe che il suo corpo è una limitazione/impedimento del suo essere…
Claudio
aveva questi aspetti schizofrenici: da una parte la tragedia della solitudine,
il suo grido di bisogno d’amore e nel contempo l’aspirazione verso quel “massimo”
che sarebbe i Rolling Stones a fondo ai piedi della Civetta ed essere da solo
in parete…
Perché
l’alpinismo? Lo dice meglio Giorgio Livanos: alpinismo per andare al di là
della verticale, cioè, come potrebbe dire Heinz Steinkötter l’alpinismo è uno
slancio verso Dio.
Anna
Lauwaert 8.V.24
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