Durante la presentazione del libro “Dimmi che mi ami” di Monica Malfatti, al Pordoï, Almo Giambisi ricordò che Aste aveva invitato Claudio a lasciar perdere quelle piccole vie insignificanti ed, invece, individuare una parete dignitosa ed impegnarsi a risolvere un problema di ampio respiro.
Più
tardi Almo confermò: “Non solo Aste pensava che Claudio doveva puntare a vie
nuove su grandi pareti, anche altri la pensavano così. Della via che ho fatta
con Gogna, Dorigatti e Allemand in Marmolada, l’avevo proposta a Claudio, e non
se ne fece niente, lui aveva tutto un suo modo di pensare all’alpinismo.”(sic.)
Ritornano
i “perché?”
È
un aspetto nuovo per me. Non ci avevo mai pensato, ma difatti, è vero: neppure
in Belgio, Claudio ha aperto una “grande classica”.
Le
falesie di Freyr offrono pareti di 120m, con problemi e difficoltà per tutti i
gusti. Claudio ha aperto numerose vie, anche tante “piccole”, addirittura di un
paio di tiri di III°… spesso in massicci sconosciuti e quasi in modo
confidenziale, a tal punto che, un giorno che mi aveva portata in uno dei “suoi
luoghi”, ebbe la cattiva sorpresa di trovare dei nomi abusivi dipinti sulla
roccia alla partenza delle “sue” vie.
Mi
torna in mente un altro episodio: Claudio fece una delle sue celebri sfuriate
contro i “blagoni”. Jean Leconte aveva aperta una via notevole ma non ci desse
un nome. “Ecco - esclamò Claudio – è cosi che si fa per farsi valere: non si da
un nome alla via e tutti iniziano a dire “la via aperta da Leconte” e poi col
passare del tempo si dice “la via di Leconte” e poi va a finire col dire “La
Leconte” e così sei passato alla posterità…”
L’amico
Eddy Abts da questa informazione:
<<
(…) a volte il tuo testo rimane addirittura al di sotto della realtà!
Un
esempio è la via Leconte. Diverse persone, tra cui credo Claudio, mi hanno
raccontato che la via era stata pulita e aperta durante la settimana e che nel
fine settimana Leconte l'aveva percorsa con alcuni suoi amici. Alla buvette,
alla domanda su cosa avessero fatto, la risposta è stata che avevano provato
una nuova via “con” Leconte, ecc. (…)
Claudio,
credo, con Guy Heylemans “chiodavano” nella Leconte. Era una delle prime volte
che scalavo a Freyr. (…)
C'era
stata una discussione sul fatto che alcuni “irresponsabili” avevano cambiato i
chiodi, in particolare nell' “ipotenusa” (probabilmente l'attrezzatura
all'albero della sosta dell'ipotenusa dove avevano messo i chiodi?). Mi hanno
chiesto di scrivere una lettera al BAC (dato che ero stato testimone di persone
che cambiavano i chiodi), ma l'hanno pubblicata nella loro rivista. Credo che
Claudio, che all'epoca non conoscevo, abbia risposto a questo
articolo??? Ricordo un articolo in cui spiegava la differenza tra un incidente
e un infortunio... (incident / accident)
In
fin dei conti ho sempre pensato che fossero stati Claudio e Guy ad aprire la via
o almeno a chiodarla “definitivamente” e che fosse una via NP (non chiodata)...
Quando veniva aperta una via, all'epoca gli apritori recuperavano i loro chiodi o, al contrario, lasciavano una
collezione di chiodi traballanti che limitavano la via a una cosa artificiale. (…)
Riassumendo: la via è diventata una classica grazie alla chiodatura di Claudio.
>>
Quale
era la capacità di Claudio di iniziare e portare a termine un lavoro di lunga
durata?
Claudio
aveva aperto diverse piccole vie in un massiccio che si chiamava “Les Rochers
du Pendu”, le rocce dell’impiccato, che si trovavano in una proprietà privata.
Un giorno il proprietario fece sapere che vietava l’accesso perché il viavai di
rocciatori disturbava le covate dei fagiani…
Claudio
volle scrivergli per chiedere il permesso di andarci un paio di volte all’anno
quando non arrecava disturbo. Ho visto la brutta copia della lettera sulla sua
scrivania per mesi… Non fu mai né terminata, né spedita…
Regolarmente
parlava del libro che avrebbe scritto ma non aveva nemmeno scritto un diario,
né l’elenco delle sue vie.
Claudio
non “lavorava”.
Almo
disse pure questo: “La Via del Drago”… si parla tanto della Via del Drago ma,
difatti, non ha nulla di speciale, è una via senza pregi particolari…”
Invece,
credo che nella mente di Claudio, questa fosse proprio la sua via su misura,
prediletta.
“300m
di IV° e V° grado, interamente in libera su una bella parete verticale”
Favorevolmente
esposta al sole, senza lunga, faticosa marcia di avvicinamento, che si percorre
in una giornata, senza difficoltà esagerate, senza bivacchi, né fastidiosi
trasporti di materiale, con una bella traversata, veramente ideale e poi per metà
arrampicata concreta e per metà fantasmagoria letteraria attorno ai miti wagneriani…
nonché risposta liberatoria alle critiche di Messner. Cioè, non una marcia
forzata militare, bensì una passeggiata romantica, per metà arrampicata e per
metà letteratura, slancio lirico, idealizzato, immateriale, un’euforia come
quella espressa da Comici: “Che gioia! Gioia di vivere; soddisfazione;
intimo orgoglio di sentirmi così forte da dominare da solo il vuoto e lo
strapiombo. Che voluttà!”
Come
disse Almo: “un suo modo di pensare all’alpinismo.” Non solo praticare
l’arrampicata fisicamente ma anche pensarla con tutto il suo immaginario.
Però,
le vie importanti, ci aveva voluto partecipare.
La
Philip-Flamm… 5.IX.57 - Claudio avrebbe condiviso il successo se Marchard non
avesse rinunciato… “colpito da un sasso ad un ginocchio” però il giorno dopo
era guarito… Quanta amarezza!
Il
5.VII.61 c’era stato il tentativo per la Nord del Cervino con Schlömmer… Però
Schlömmer volle fare una via di allenamento. Probabilmente non si fidava della
preparazione di Claudio. Il giorno seguente faceva brutto…
Poi
c’era la mancanza di fiducia nei compagni… 13.IX.64 Dal Bianco aveva addirittura
interrotto la Paolo VI… per andare… a lavorare! Com’è possibile che qualcuno possa
interrompere una via per il motivo prosaico di andare a lavorare?
La
Via degli Strapiombi 21.VII.66 con Steinkötter e Hasse… via travagliata con
trasporti di materiale pesante, bivacchi, maltempo, giornate di tribolazioni…
che poi era diventata celebre come esempio del “ non s’ha da fa”… Una di quelle
vie che fai perché bisogna farle ma che non sono un piacere… all’incontrario di
una Via del Drago.
Claudio
aveva discusso la possibilità di partecipare ad una via importante di
Messner
sulla Marmolada, 27.VIII.68 - Però… Messner non volle svelare il suo progetto e
Claudio non volle andarci alla cieca, senza sapere dove, né cosa… e quindi
perse il treno pure lì…
Altra
via prestigiosa: 29.VII.69 - la Walker delle Jorasses che era stata un incubo.
“La Walker, questo, mai più!”
C’era
qualcosa di “contrario”, un freno…
Di
certo, Claudio non apprezzava “molta gente” in una via, preferiva una cordata
di due e meglio ancora da solo.
Diceva:
“in una cordata, un secondo non è mai buono, se è buono arrampica come
capocordata.”
Inoltre,
per aprire una “grande via”… da solo… in due… ?
E
poi, diciamo che l’occasione non si era presentata… L’aveva cercata? Forse chi
ha condiviso i suoi anni di bella gioventù potrebbe raccontarci di più.
La
leggenda racconta che aveva individuato una via sulla Nord della Cima Grande… È
la via aperta dai fratelli Coubal?
Ma
aveva poi voglia di aprire una grande via su di una grande parete? Invece
diverse volte era stato orgoglioso di fare una prima ripetizione o una prima
solitaria come se il lavoro di sgombero lo lasciava ai volonterosi per poi
godersi la via finita, ma senza i lavori preliminari ?
E
poi, comunque, se avesse partecipato alla Philipp Flamm o alla via di Messner
non sarebbe stata la Barbier e qualcun’altro… se avesse partecipato alla via
proposta da Almo non sarebbe stata la Barbier… ma la Giambisi, Dorigatti,
Gogna, Allemand e Barbier… Non sarebbero state le vie individuate da lui,
sarebbero rimaste le vie di altri…
Tanto
che abbiamo iniziato a provare di capire il fondo della sua anima, pongo la
domanda: non è che Claudio fosse impedito da un “blocco mentale”? Un complesso
di inferiorità? Un’insicurezza? Da un atteggiamento di rifiuto, un sentimento
di incapacità a realizzare, una successione di rifiuti che poi si sarebbero
rivelati delle occasioni perse, anzi, occasioni rifiutate… e quasi un
sentimento di “vittima del destino” come si chiamava se stesso “le grimpeur
maudit” il rocciatore maledetto… a chi tutto andava sempre male… forse
esagerato… con un tocco di invidia? E quindi la rivincita nelle solitarie…
Certo
è che nella sua famiglia di borghesi diplomati, imprenditori, medici, ecc… lui
faceva la figura del buon a nulla…
Durante
le feste di famiglia, quando i genitori vantavano i successi dei loro figli e
chiedevano notizie di Claudio, sua madre rispondeva … “Bèh… Claudio arrampica…”
il ché, in questo ambiente equivaleva a dire “fa il barbone, l’hippy”…
C’è
un altro aspetto: Claudio era un intellettuale, non aveva nessun senso pratico,
non so se era capace di cambiare una lampadina… Non era di quelli che riparano
la macchina o costruiscono qualcosa di pratico, o… appunto, lavorano…
Quelli
che aprono grandi vie lo fanno perché sono abituati ai lavori manuali,
concreti? Mentre Claudio era un “pensatore”? un sognatore?
Armando
Aste “ a 15 anni inizia a lavorare come fattorino…”
Heinz
Steinkötter era insegnante
Almo
Giambisi aveva lavorato nella miniera in Germania, poi era diventato
albergatore e lavorava pure nei “disgaggi”.
Alberto
Dorigatti: “Dopo il
servizio militare al passo Rolle come finanziere scalatore ho sempre lavorato a
Bolzano come impiegato presso l'Iveco mezzi speciali.”
Lino
Lacedelli era fabbro
Emilio
Comici “era entrato a lavorare come impiegato
nei magazzini generali del porto.”
Walter Bonatti “Per mantenersi in quegli anni svolge il duro lavoro di
operaio siderurgico presso la Falck, andando sulle montagne lombarde solo la
domenica dopo il turno di notte del sabato.”
George Mallory era insegnante
Edward Whimper “di professione disegnatore ed
incisore”.
Fonti: Google
Di solito, quando una persona “normale” muore,
lascia qualcosa dietro di se: ha costruito una famiglia, una casa, ha piantato
un albero o dei fiori, ha insegnato alle generazioni future, ha curato persone
nel bisogno, ha condotto i viaggiatori nei treni, ha seminato frumento e cotto
pane, ha provveduto cibo per i sui concittadini … come il detto “il falegname è l’uomo che fa”… Che cosa ha
fatto Claudio?
Che cos’è rimasto dopo la morte di Claudio? A
parte la sua raccolta di libri, però, scritti da altri… che cos’è rimasto?
Qualche passo su pareti rocciose, magari qualche chiodo in una fessura, qualche
nome dato ad una via, il ricordo nel cuore dei suoi amici, un nome nella storia
dell’alpinismo… Ma di concerto? Di materiale? Niente. Claudio è passato sulla
terra non lasciando nemmeno una traccia, solo il suo passaggio immateriale, come
uno spirito, un fantasma…
È sconcertante.
Una persona normale è un lavoratore, Claudio è
stato un viandante… e mi ricorda questa robaiyat di Omar Khayyam: “Non ho
chiesto di vivere. M’impegno ad accogliere senza meraviglia e senza collera quanto
la vita mi porta. Partirò senza aver interrogato nessuno sul mio strano
soggiorno su questa terra.”
Anna Lauwaert 5.VII.25
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