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Claudio - solo, disperato...

 



Dal 27 maggio 1977 vivo con la presenza costante della morte di Claudio, in sordina, ma presente comunque. Regolarmente un articolo, un incontro, un accenno riattiva i ricordi, anzi mi spinge a “rivangare il passato”.

Ultimamente è successo col libro di Monica Malfatti. Sono tornate a galla le domande ed aspetti ancora sospesi.

Quindi, per provare di mettere un punto finale a queste incertezze e ricerche ho redatto tre nuovi capitoli da aggiungere alla “Via del drago”: “I perché di Claudio”, “Le parole che dicono” e “Perché l’alpinismo?” ed in fine la “Cronologia di Claudio” cioè la cronologia dei testi che hanno indagato la sua personalità.

Oggi, 47 anni dopo la sua morte, per me, tutti questi testi sono tasselli di un puzzle sotto il titolo “Solo, disperato” . Titolo dato in particolare alla raccolta dei quattro ultimi testi ma che vale anche per la somma di tutti i testi fin dal primo “Via del drago”.

Contrariamente a “La via del Drago” che elenca fatti storici destinati a conoscere la vita di Claudio il più fedelmente possibile, gli ultimi testi sono ipotesi destinate non più a conoscere Claudio, bensì a provare di capirlo.

Se si pubblicasse un volume unico raggruppando tutti i testi citati nella “Cronologia” il titolo, generale, ne potrebbe essere, appunto “Solo, disperato” ed è cosi che, oggi percepisco la persona di Claudio.

 

I- Cronologia Claudio Barbier 1938 - 1977

ogni documento significa un passo avanti nella scoperta e la comprensione di chi era stato.

1995 “La via del Drago” di Anna Lauwaert

2005 sito www.claudiobarbier.be di Didier Demeter 2008 seconda edizione della Via del Drago

2009 premio Leggimontagna

2010 “Elenco delle vie di Claudio” di Anna Lauwaert e Pascale Binamé https://atelier-ca-della-fiola.blogspot.com/p/elenco-delle-vie-percorse-da- claudio-in.html

2011 “Le grimpeur maudit” di Anna prima stampa https://atelier-ca-della-fiola.blogspot.com/p/la-documentation- iconographiqueainsi.html

2011 “Le grimpeur maudit” fumetto di Anna https://atelier-ca-della-fiola.blogspot.com/p/bd.html

2011 “Aggiornamento via del drago/grimpeur maudit” di Anna https://atelier-ca-della-fiola.blogspot.com/p/in-dolomiti-la-via-del-drago-e- le.html


2012 “Quelli del Pordoi” di Alberto Sciamplicotti

2012 “Le grimpeur maudit” di Anna edizione in Francia 2023 “I perché di Claudio” di Anna

https://atelier-ca-della-fiola.blogspot.com/p/i-perche-di-claudio.html 2024 “Dimmi che mi ami” di Monica Malfatti

2024 “Le parole che dicono” di Anna

https://atelier-ca-della-fiola.blogspot.com/p/claudio-le-parole-che- dicono.html

2024 “Perché l’alpinismo” di Anna

https://atelier-ca-della-fiola.blogspot.com/p/perche-lalpinismo.html 2024 “Solo, disperato” = raccolta:

I   “ Cronologia di Claudio” + II “I perché di Claudio” + III - “ Le parole che dicono” + IV - “Perché l’alpinismo”

 

I testi possono essere citati a condizione di menzionare il nome del loro autore.

 

Anna Lauwaert 27.V.24

 

 

II   - I perché di Claudio

 

“Alpinismo perché…” disse Marino Stenico…

 

Da quando, all’inizio del 1900, il re Alberto e la regina Elisabetta del Belgio arrampicarono nelle Dolomiti con le mitiche guide Antonio Dimai, Agostino Verzi, Tita Piaz… è cambiato tutto.

Oggi lo sport è diventato un settore importante dell’economia: equipaggiamenti, abbigliamenti, alimentazione, gare, sponsorizzazioni, infrastrutture, stampa, turismo… e quindi, anche… “alpinismo, perché è un business…”

 

Il 5.IX.57, Claudio rinuncia a terminare la via, che diventerà la Philipp- Flamm, per soccorrere il suo compagno Dieter Marchart, colpito da sassi ma che, il giorno seguente, non avrà più nulla…

40 anni più tardi, nel suo libro “Dark shadows falling” del 1997, Joe Simpson spiega che chi ha pagato per farsi portare in cima ad una vetta himalayana, scavalca i compagni esausti, li lascia morire e prosegue per la sua strada…


Nel 1975 Messner e Habeler scalano l’Hidden Peak in stile alpino. Per tutto un giorno Claudio percorse Freyr brandendo una rivista alpina e proclamando “gli 8000 in stile alpino: è finito l’alpinismo”- L’ultima sfida era stata raggiunta, di più di cosi, non era possibile.

 

Non so più a chi fu chiesto perché andava in montagna e lui rispose “perché ci sono”

La domanda è ancora più pertinente quando viene rivolta ad una persona nata e cresciuta nelle pianure delle Fiandre, in riva al mare…

Con Claudio ce n’erano tanti di “perché?”…

 

Nel 2008 il mio libro “La via del Drago” ricevette una seconda edizione e nel 2009 il premio Leggimontagna.

Nel 2010, il festival “Tra le rocce e il cielo” di Vallarsa organizzò un incontro Claudio Barbier al quale parteciparono amici provenienti dal Belgio, Gran Bretagna, Francia… Quel giorno dovetti arrendermi all’evidenza: solo gli italiani avevano letto la biografia di Claudio: mancava una versione in francese…

Una traduzione non aveva senso perché mi ero indirizzata agli amici italiani. Mi toccava riscrivere il tutto rivolgendomi alla mentalità francofona: due anni di lavoro e… rivangare …

Così, dopo 15 anni, una volta di più, mi inabissai nelle scartoffie, nei ricordi e nei perché…

 

Una cosa era certa: in quella bellissima giornata soleggiata di primavera Claudio era morto, da solo… Non si capì mai se era stato incidente, omicidio o suicidio. Ma per me la domanda lancinante rimase “perché?”

Quindi ripresi le “scatole d’archivio” e ricominciai a spulciare lettere, biglietti, scarabocchi su cartoncini della birra… Per “La via del drago” mi ero focalizzata principalmente sull’aspetto alpinistico e avevo trascurato il lato umano. Ora, con 30 anni di maturazione, fui commossa dal lato psicologico…

Claudio non aveva tenuto un diario tipo quaderno scolastico, bensì, oltre ad un infinità di biglietti, egli aveva riempito taccuini, agendine, appuntini… con una scrittura piccola e quasi indecifrabile.

In un taccuino del 1975 egli aveva ricopiato questa frase del 25.III.50 di Cesare Pavese: “ Non ci si uccide per una donna. Ci si uccide perché l’amore, qualunque amore, ci rivela la nostra nudità, miseria, inermità, nulla” (Il mestiere di vivere p. 394)


Claudio mi aveva detto di aver pensato al suicidio, anzi a mascherare un suicidio in incidente. Egli aveva letto “Il mestiere di vivere” pubblicato nel 1952?

Alla mia partenza per la Svizzera, nel 1980, avevo lasciato tutti i nostri libri sul solaio della mia casa paterna. Ora, i miei genitori risiedevano in una casa per anziani e ci ritornavo durante lunghi periodi per occuparmi di loro. Quindi salii sul solaio per riaprire i 92 scatoloni di libri… Era tutto li, perfetto, con quel profumo di carta asciutta e vecchia e addirittura l’odore delle sigarette dei signori Barbier che aveva impregnato i libri che loro mi avevano regalati.

Sì, c’era “Il mestiere di vivere” in una edizione Einaudi del 1970, ma anche “L’échec de Pavese” di Dominique Fernandez e “Il vizio assurdo” di Davide Lajolo.

Perché Pavese si era suicidato due mesi dopo aver ricevuto il premio Strega e allorché la sua opera si stava affermando?

Mentre eravamo nelle Dolomiti, Claudio leggeva Moby Dick.

Nel romanzo di Melville, colpisce la stranezza e la simbolica dei nomi. Il narratore Ismaël (figlio ripudiato di Abramo) racconta la caccia, a morte, del capitano Achab (re empio e crudele di Israele) contro la balena bianca (simbolo di purezza) chiamata Moby Dick. Libro che Pavese aveva tradotto. “moby” significa grande, enorme impressionante.

“dick” significa in gergo “tipo” ma anche “pene”

“Moby Dick” è un physeter macro-ce-phalus… in inglese “sperm whale”. È il più grande carnivoro del mondo.

Vale a dire che “il grande pene puro è il più grande divoratore del mondo”… E quindi il libro parla della lotta a morte dell’uomo empio e crudele contro le sue pure pulsioni sessuali?

Servirebbe uno studio su Melville e le sue intenzioni in questo libro, ma anche sul perché Pavese si era interessato a Moby Dick?

Come mai, seduto di fronte alla Tre Cime, Claudio leggeva una storia di balena? Quale interesse per questo libro Claudio condivideva con Pavese? Era interessato a Moby Dick o a Pavese?

 

Claudio, nel “Mestiere di vivere”, avrà trovato numerose frasi scritte per lui, anzi, quel libro sembra scritto per lui.

p.59 “Tutti gli uomini hanno un cancro che li rode (…) Quasi tutti, pare, rintracciano nell’infanzia i segni dell’orrore adulto. Indagare questo vivaio di retrospettive scoperte, di sbigottimenti, questo loro angoscioso ritrovarsi prefigurati in gesti e parole irreparabili dell’infanzia.”

p. 70 “E in quest’anno è venuta al pettine la mia lunga e segreta vergogna…”


p. 374 “Dove sono le angosce, gli urli, gli amori dei 18-30 anni?”

p. 384 “L’idea del suicidio era una proposta di vita. Che morte non voleva più morire”

p.398-399: “… il fallimento…

“La mia parte pubblica l’ho fatta – ciò che potevo. Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti (…)

In dieci anni ho fatto tutto. Se penso alle esitazioni di allora. Nella mia vita sono più disperato e perduto di allora. Che cosa ho messo insieme? Niente. Ho ignorato per qualche anno le mie tare, ho vissuto come se non esistessero. Sono stato stoico. (…) Non ho più nulla da desiderare su questa terra, tranne quella cosa che quindici anni di fallimenti ormai escludono.(…)

Ci vuole umiltà, non orgoglio. Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più.”

 

“Sono disperato e perduto” come cantava Johnny Hallyday: “Sono solo, disperato” come lo ripeteva Claudio …

 

Quella mattina del 27 settembre 2010, nella casa paterna, stavo sorseggiando il mio caffè ascoltando il notiziario. Il presentatore annunciò che abusi sessuali erano stati denunciati nella scuola dei Benedettini dove Claudio era stato allievo interno dal 1948 al 1952.

Fulmine a ciel sereno… Oddio! Di colpo, si affacciarono nella mia mente le stravaganze di Claudio: il suo odio dei preti, del colore verde, dei fiori recisi, della lingua fiamminga, della musica classica, e… quella volta ad Auronzo quando corse fuori a vomitare a causa di quel particolare odore animale provocato da formaggi fermentati in una stanzetta troppo calda e che sapevano di intimo sporco dopo una notte di sudore…

La scuola…

Ripresi le pagelle di Claudio. Dalla prima elementare era stato primo o secondo di classe fino alla pagella del 12 aprile 1952 che era disastrosa.

Claudio fu espulso ed andò dai Gesuiti à Bruxelles dove diventò ribelle. Finì il liceo classico latino-greco dai Gesuiti à Mons.

Nel 1953 coi suoi genitori aveva soggiornato a Pralognan dove aveva imparato quanto la neve è scivolosa ed aveva anche percorso la sua prima via di montagna con una guida.

Nel 1954 erano stati nell’Oberland Bernese e nel 1955 fu il colpo finale: le Dolomiti con Lino Lacedelli…


Quando fu iscritto alla facoltà di lettere, non presentò nemmeno gli esami: non aveva avuto il tempo di studiare perché aveva dovuto allenarsi per andare in montagna…

Durante il 1958 Claudio svolse il servizio militare nelle Truppe di Trasmissione nella armata belga di occupazione in Germania. Egli seguì i corsi di ripetizione nel 1961 e 1962, passò il brevetto di trasmissione in morse “14 parole di 5 lettere al minuto” e poté allenarsi nelle rocce di Marche-les- Dames coi para-commandos…

Però dal 1956 non fece più nient’altro che arrampicare… Tornarono i perché?

Come mai un ragazzino normale, di una famiglia normale, è un brillante allievo fino al 12 aprile 1952 e poi, bruscamente non farà più nient’altro che arrampicare su rocce?

In Belgio, nel 1996 era scoppiato l’affare Dutroux di pedo-criminalità, poi nel 2010 il vescovo Van Geluwe dovette dimettersi… Un’inchiesta stimò a più di 5000 casi gli abusi sessuali nella chiesa fiamminga… Cosi si iniziò a parlare anche delle conseguenze per le vittime: la loro vita distrutta, prigionieri dell’impossibilità di parlarne e molti suicidi anche 20 o 30 anni dopo i fatti… Claudio si qualificava di “grimpeur maudit” cioè arrampicatore maledetto in referenza ai poeti maledetti francesi Verlaine e Rimbaud… ma cosa stava dietro?

Tornarono i perché

Perché il bambino Claudio avrebbe potuto essere una preda?

Era nato nel 1938 e per via delle attività paterne aveva vissuto l’occupazione tedesca da vicino. Aveva influenzato il suo carattere?

Claudio era cresciuto in un ambiente protettivo e quindi era probabilmente ingenuo. Perché nelle sue lettere dal collegio ai suoi genitori sembrava andare tutto bene allorché stava per essere espulso?

Nel 1952, a 14 anni era l’età della ribellione…

 

Perché questi odi bizzarri?

Perché parole cosi crude e volgari quando parlava di sesso? Perché certi suoi atteggiamenti (intimi) “dominatori”?

Perché le sue pazze arrampicate in solitaria ?

Perché, quella mattina del giorno della sua morte, prima di partire,                                                                        aveva lasciato un enorme mazzo di rose sul lavandino dai suoi genitori?

Un giorno mi disse che non aveva mai pensato a dover lavorare “con tutto quello che aveva fatto in montagna”… aveva pensato che sarebbe morto giovane…


E, se tutte queste stravaganze fossero, non caprici d’un figlio borghese viziato bensì l’espressione di “un cancro che lo rodeva”…

Quella pagella del 12 aprile 1952 ha segnato una rottura: Claudio non è mai più stato “normale” ed ha sconvolto la vita dei sui genitori.

Claudio era stato testimone o vittima di violenze da parte di compagni o adulti? Era stato un altro dramma simile a “les amitiés particulières” di Roger Peyrefitte?

I biografi di Pavese parlano della sua infanzia infelice, dell’educazione severa, dei suoi problemi sessuali… Quale è la ragione di questi problemi? Anche lui era stato a scuola dai Gesuiti… e perché scrive di punt’in bianco nel “Mestiere di vivere” in data del 17 aprile 1946 “Nossignore. Non bisogna inculare i ragazzini…”

“Inculare i ragazzini” non è una figura di stile, è pedo-criminalità come era successo nella scuola dove Claudio aveva soggiornato.

 

Se Claudio, un appassionato di letteratura francese, si era inoltrato così profondamente nel pensiero di Pavese, non può non dimostrare una fratellanza nel “cancro che rode gli uomini”…

 

Nessun editore è stato interessato al mio libro: “Claudio Barbier: storia vecchia che non interessa più nessuno…”

L’ho fatto stampare in 200 esemplari per gli amici. L’ho mandato a diverse personalità nell’ambito dell’inchiesta sulla pedo-criminalità con la domanda: “Ci sono denunce che riguardano abusi sessuali in quella scuola durante gli anni 1950 quando Claudio ci era allievo interno?”

Passò un anno

Una sera il telefono squillò ed una persona disse: “Devo mantenere l’anonimato a causa della mia professione. Ho letto il suo libro. Volevo dirle che la risposta alla sua domanda è “si”…”

 

Il mio libro in francese provocò sconforto: Claudio non era stato un rivoluzionario di sinistra, un Che Guevara dell’alpinismo, bensì un fallito figlio borghese mantenuto dai suoi genitori… La mia ipotesi di abuso sessuale fece scalpore e provocò indignazione: il mitico alpinismo, il carismatico fuori classe, insultati dallo schifo: un blasfemo… psicanalisi da quatro soldi… autoproiezione dei propri fantasmi dell’autrice… Il mio libro finì in patumiera…

Eppure: “il cancro che rode la nostra anima”… Magari, se avessimo avuto più tempo, avremmo potuto salvarci a vicenda?


Noi ammiriamo le imprese dei grandi alpinisti, ma raramente conosciamo le loro motivazioni profonde e la sessualità rimane uno dei peggiori tabù.

Perché Emilio Comici attingeva alla voluttà mentre superava da solo “il vuoto e lo strapiombo”?

Cosa significava per Paul Preuss, non solo di essere stato un bambino malaticcio con una sindrome poliomielitica, ma anche di essere ebreo nel periodo storico dell’affare Dreyfus?

Marino Stenico diceva “le donne sono perfide” come lo scrive Pavese p.50… e poi pone la domanda “alpinismo perché?”…

Cosa significa la pagella del 12 aprile 1952 per Claudio?

 

Redigendo queste righe mi accorgo che La via del Drago racconta un aspetto della personalità di Claudio, Le Grimpeur Maudit aggiunge il lato più umano, il fumetto, per il conciso dei testi, coglie i tratti principali.

Lo studio di Monica, l’elenco delle vie di Claudio, la mia ultima ipostesi, portano tasselli mancanti. 47 anni dopo la sua morte, il cerchio si chiude.

Anna Lauwaert 7.IX.23

 

III   - Le parole che dicono…

 

Le persone parlano, le parole dicono della cose, però di solito noi sentiamo senza ascoltare.

 

Claudio ed anch’io siamo nati in famiglie “intellettuali”.

A sette anni egli leggeva Jules Verne. I suoi genitori parlavano e leggevano la stampa quotidiana in diverse lingue. Seguivano “la critica” ed erano al corrente delle nuove pubblicazioni, dei film ed avvenimenti culturali.

Suo padre era ingegnere formato al collegio benedettino Sint Andries di Loppem per le “humanités classiques latin-grec” e poi l’università di Gent. Era diventato un funzionario statale di alto rango: direttore dell’azienda dei telefoni, il ché gli permise di diventare un tassello importante nella Resistenza durante 40-45. Difatti il 1 gennaio 1945 fu décorato e “citato all’ordine del giorno per il suo prezioso contributo all’armata segreta”.

La madre di Claudio aveva seguito la classica formazione in economia domestica presso le suore prima di soggiornare a Roma per imparare l’italiano e in Inghilterra per imparare l’inglese ed il tennis.


Prima che io fossi capace di leggere, mio padre mi leggeva le belle storie dell’Antico Testamento e mia madre mi leggeva i libri della Contesse de Ségur. Si accendeva la radio per ascoltare il notiziario ma non c’era televisione.

Mio padre mi offrì gli album di Tintin appena fui in prima elementare, avevo cinque anni. Più tardi mi fece scoprire poesie in fiammingo, tedesco, inglese ma soprattutto francese. Oltre ai classici francesi e inglesi che leggevamo a scuola, mio padre mi consigliò libri che aveva nella sua biblioteca tra cui mi ricordo “Nikita” di Tolstoï e “Le anime morti” di Gogol…

Mio padre suonava fagotto e clarinetto. In pensionato, dalle Suore, mia madre aveva imparato piano forte. Nell’orchestra dilettante, tra amici, pure lei suonava clarinetto. Avevamo l’abbonamento all’opera e regolarmente andavamo ai concerti ed a teatro.

Mio padre aveva ottenuto il diploma di maestro di scuola elementare. Nel 1939 aveva sposato mia madre, così, semmai egli veniva uccida alla guerra, lei avrebbe ricevuto una pensione di vedova… Dopo la guerra, egli diventò maestro nella scuola elementare nel nostro villaggio e nel contempo seguì 5 anni all’università di Bruxelles. Ottenne la licenza in pedagogia e psicologia e finì la sua carriera come professore di pedagogia e direttore pedagogico alla magistrale.

Io avevo seguito il liceo latino matematica. Sguazzavamo nella grande letteratura. Claudio ancora di più di me poiché aveva fatto latino-greco, dai benedettini, (la super scuola dove era stato suo padre e dove andavano i figli dell’alta borghesia e pure i principi tra cui l’attuale re Filippo del Belgio). Claudio finì il liceo dai gesuiti.

A quei tempi si conoscevano le poesie a memoria non solo perché era obbligatorio a scuola ma anche perché eravamo penetrati, posseduti dalla bellezza dei grandi testi, i Victor Hugo, Lamartine, Vigny, chi più ne vuole più ne metta… addirittura i poeti latini… Il signor Barbier recitava ancora testi in greco antico.

Il liceo che si chiamava “les humanités” significava 6 anni in cui ogni giorno, ogni giorno, era studio della lingua madre, grammatica, vocabolario, letteratura… drill militare linguistico… Per aver bocciato due volte, i miei sei anni erano diventati otto… Otto anni di latino al punto di poter presentare l’esame di maturità in latino… Le giornate andavano dalle 8 alle 12 e dalle 13 alle 16. Non andavamo a casa, eravamo “interni”. Avevamo libero il mercoledì e sabato dopo pranzo e la domenica. Non avevamo né radio, né TV, né telefono. né stampa… Ogni sera avevamo compiti e lo “studio” andava fino alle 22… Ci si alzava alle 6……


La nostra preside ci diceva “Nessuna è obbligata di venire nella mia scuola. Il compito della mia scuola e di preparavi a poter entrare in qualsiasi facoltà di qualsiasi università. Quelle che vogliono fare pianoforte o balletto o hockey hanno sbagliato indirizzo. Voi siete qui per studiare e solo studiare. Ma nessuno vi obbliga a stare qui. Se rimanete significa che siete d’accordo col regime di “disciplina liberamente consentita”…

Era così, era prima della rivoluzione di Vaticano II e del 1968, era lo stile “Vieille France”, cioè il classicismo.

 

Perché insisto così pesantemente su questo quadro?

Prima di tutto perché questo, oggi non esiste più o forse ancora nelle scuole private riservate alle “élites”. Prima del 1968 tutti i bambini avevano la possibilità di beneficiare del miglior insegnamento e quindi accedere alle professioni più esigenti. Oggi sono grata di aver potuto ricevere questa educazione e ne vado fiera.

(Il sistema educativo europeo è stato modificato alla Conferenza di Lisbona nel 1999-2000 in modo da produrre 90% di consumatori e 10% di quadri vedi JP Brighelli https://www.youtube.com/watch?v=xpPuloQdY0Q https://www.youtube.com/watch?v=ra9nv8umSbk )

 

Claudio ed io avevamo ricevuto lo stesso tipo di educazione e cultura.

Quale non fu la mia sorpresa il giorno in cui egli mi presentò ad un suo amico dicendo:

“Questa è Anne, arrampica, però non le piace Johnny…” Al ché tutti e due fecero una brutta e triste smorfia… Johnny Hallyday…

Certo, conoscevo Johnny, chi non lo conosceva, però agli standard delle nostre famiglie, educazione e cultura… Johnny… era scadente sia dal punto di vista musicale colle urla da rock and roll… che letterario colle parole da analfabeti… eppure, Claudio era fanatico adoratore di Johnny…

 

Era la grande epoca dei Jacques Brel, Georges Brassens, Léo Ferré, non solo grandi poeti ma anche grandi musicisti… Ma Johnny… nooo…

Lo presi come uno scherzo, un atteggiamento ridicolo quasi uno snobismo… ma comunque niente di serio, una gag alla quale stavano tutti i fan che giravano attorno a Claudio a Freyr. Era come la parola d’ordine di una società segreta…


È solo lentamente, progressivamente, che iniziai a fare più attenzione a questa Johnnymania…

Non   so   quando   Claudio   aveva   iniziato   la          sua passione per          Johnny, probabilmente fin dal primo disco.

Claudio aveva fatto il servizio militare nel 1958, anno della prima canzone di Johnny: “Je suis seul, désespéré”: sono solo, disperato… https://fr.wikipedia.org/wiki/Liste_des_chansons_interprétées_par_Johnny

_Hallyday

Per le date delle canzoni mi baso sulle informazioni di Internet, comunque qualche variazione non cambia il fondo. Una data è certa: quella della sua prima “performance” in télévisione il 18.IV.1960 https://www.youtube.com/watch?v=u7ZXSVaAIEg

Ovviamente, all’epoca, un ragazzo di 15 anni (Johnny era nato nel 1943) che urla sul palco “sono solo, disperato”… fece scalpore… Per tutti gli adolescenti che vivevano la loro “crisi adolescenziale”, io compresa, fu un colpo di fulmine: un ragazzo come noi urlava il suo disaggio sul palco, osava urlare che era solo, disperato…

Gli adulti furono scioccati: ma come? un ragazzino fa la rock star, si arrotola sul palco e urla parole rivoluzionarie, provocatorie, completamente all’opposto della buona educazione? Che cosa succede?

Già il rock and roll era inconcepibile… Già c’era la follia attorno ad Elvis Presley… che aveva registrato la sua prima canzone nel 1953.

Johnny, fin dalla sua prima canzone, “sono solo, disperato” aveva colpito la gioventù al cuore, aveva espresso il disaggio adolescenziale e diventò “l’idolo dei giovani” e lo rimase. Anzi rimase l’idolo di questi adolescenti che erano diventati adulti e gli rimasero fedeli fino alla suo morte ed anche oltre visto il perdurare del suo successo. Johnny ebbe funerali di stato ritrasmessi per televisione, con milioni di fan presenti e gli altri incollati al televisore, io compresa.

 

Il personaggio di Johnny è interessante. Grosso modo egli fu abbandonato da suo padre e sua madre era una “artista”. Difatti, il bambino nacque e crebbe in un ambiente “artistico” di musica, palco, spettacolo, vita “alternativa”, vero saltimbanco corpo e anima. In pratica, a quindici anni, egli aveva già quindici anni di carriera artistica alle spalle.

Quindi, nel 1958 quando Johnny urla che è solo, disperato, Claudio a 20 anni ed è a militare. Cioè dalla famosa pagella del 1952, sono passati 6 anni di drammi: conflitti con le scuole ed incomprensione coi suoi genitori che non


capirono mai perché di punt’in bianco il loro figlio smise di studiare e non fece più nient’altro che arrampicare su rocce…

Sua mamma, anche se non era d’accordo con l’andazzo del figlio, tentò di trovare un modus vivendi mentre il suo padre rimase inflessibile.

Se Claudio fosse stato un ragazzino “normale” la sua passione per Johnny non sarebbe comprensibile, invece se si ipotizza che a scuola abbia o subito o assistito a “violenze” delle quali non gli era possibile parlare, si apre una tutt’altra prospettiva.

Claudio si trovava davanti ad un muro, non aveva nessuno a chi poter spiegare il suo problema: era veramente da solo a portare il “segreto” che gli rodeva l’anima. Dal 1955 Claudio fu socio del Club Alpino Belga e frequentò le falesie di Freyr dove poté sfogarsi in roccia e coi compagni, ma nemmeno lì poteva parlare dei suoi problemi intimi. I suoi compagni non sapranno mai nulla della sua situazione né intima, né di famiglia. Certo, si sapeva che non lavorava ma niente di più. Si raccontava che aveva ereditato da sua nonna o da uno zio ricco in America… Quando la gente non sa, inventa…

Ed ecco di botto la canzone di Johnny, ma che cosa dice?

Je suis seul Désespéré Quand je les vois par la main Tous les amoureux moi je sais bien Cet amour-là je ne le connaîtrai pas Il ne sera jamais pour moi Je suis seul Désespéré Tu as beau parler d'amour Je suis seul presque toujours Au milieu de mes tourments Je me dis que tu me mens La vie, la vie c'est bien joli Moi j'ai peur d'être un jour trahi Et ton amour, tu peux me jurer Je sais bien qu'un jour tu me feras crier Je suis seul suis seul Désespéré Je suis seul Désespéré Source : LyricFind

Traduzione

Sono solo Disperato Quando li vedo (tenendosi) per mano Tutti gli amanti io lo so bene Questo amore non lo conoscerò Non sarà mai per me Sono solo Disperato puoi ben parlare d'amore Sono quasi sempre solo In mezzo ai miei tormenti mi dico che mi stai mentendo La vita, la vita è ben bello Ho paura di essere tradito un giorno E il tuo amore, puoi giurarmelo So benissimo, giorno mi farai urlare sono solo sono solo disperato sono solo disperato Fonte: LyricFind

 

Mi confidò che aveva pianto molto perché aveva da sempre saputo che visto che non lavorava, che non aveva né professione, né stipendio, non avrebbe mai potuto sposarsi né avere una famiglia, aveva pianto perché non avrebbe mai avuto figli…

Nel 1962, Johhny canta che è “l’idolo dei giovani”.


Nel 1961, Claudio ha realizzato il concatenamento delle Tre Cime, nel 1962 è all’apoteosi della sua attività, va da un impresa straordinaria a un'altra… ed è in qualche modo l’idolo dei giovani rocciatori.

Johnny canta: “La gente mi chiama l'idolo dei giovani C'è anche qualcuno che mi invidia. Ma se nella vita sapessero quanto sono solo, quanto sono solo…” https://www.youtube.com/watch?v=fiFYcBrpQAo

 

Les gens m'appellent l'idole des jeunes Il en est même qui m'envient Mais ils ne savent pas dans la vie Que parfois je m'ennuie Je cherche celle qui serait mienne Mais comment faire pour la trouver Le temps s'en va, le temps m'entraîne Je ne fais que passer Dans la nuit je file tout seul de ville en ville Je ne suis qu'une pierre qui roule toujours J'ai bien la fortune et plus et mon nom partout dans la rue Pourtant je cherche tout simplement l'amour Plus d'une fille souvent me guette Quand s'éteignent les projecteurs Soudain sur moi elles se jettent Mais pas une dans mon coeur Dans la nuit je file tout seul de ville en ville Je ne suis qu' une pierre qui roule toujours Il me faut rire et danser puis le spectacle terminé S'en aller ailleurs au lever du jour Les gens m'appellent l'idole des jeunes Il en est même qui m'envient Mais s'ils pouvaient savoir dans la vie Combien tout seul je suis Combien tout seul je suis

Source : Musixmatch

La gente mi chiama l'idolo dei giovani. C'è anche chi mi invidia Ma non lo sanno nella vita Che a volte mi annoio cerco quella che sarebbe mia Ma come la trovo Il tempo passa, il tempo mi porta via, sono solo di passaggio. Nella notte vado da solo di città in città Sono solo una pietra che rotola sempre, ho una fortuna e anche di più e il mio nome è ovunque Eppure cerco semplicemente l'amore Più di una ragazza spesso mi aspetta Quando i riflettori si spengono All'improvviso si lanciano su di me Ma nessuna nel mio cuore Di notte vado solo di città in città Sono solo una pietra che rotola sempre, devo ridere e ballare, poi lo spettacolo finisce All'alba vai da qualche altra parte La gente mi chiama l'idolo dei giovani C'è anche qualcuno che mi invidia. Ma se nella vita sapessero quanto sono solo, quanto sono solo…

 

Sempre di più Claudio va ai festival e ai concerti sia dei Rolling Stones che di Johnny.

 

Qui s’inserisce l’épisodio del suo ciondolo:


Il ciondolo o come nasce la leggenda

 

Non dico che non ci sono stati altri ciondoli o altre pietre o collane, dico che su nessuna foto si vede Claudio con un altro ciondolo, pietra o collana come quello sulla foto con Lino Lacedelli alle Tre Cime il 9.VII.72

Nelle sue cose non ho trovato nessun’altro né ciondolo, né pietra. Quindi voglio raccontare la storia del ciondolo che ho qui davanti a me.

Claudio aveva trovato in Johnny Hallyday un anima gemella perché cantava “sono solo, disperato…”

Claudio aveva scritto a Johnny per chiedergli di arrampicare insieme, ma Johnny aveva risposto, no grazie…

Comunque Claudio seguiva i dischi e i concerti con passione.

Tra queste canzoni ce n’è una bizarra… dal testo caotico e assurdo : Voyage au pays des vivants 1969                                                        Viaggio al paese dei vivi 1969


Le jour de ma naissance                                       Il giorno della mia nascità Un scarabée est mort                                                                                uno scarabeo è morto

Je le porte autour de mon Fleur de porcelaine

Aux parfums interdits

Je n'accepterai que les fous

cou

lo porto al collo fiore di porcellana dai profumi vietati

non accetterò che i pazzi

Je ne recommencerai jamais ce que j'ai fait

Oh non, non, oh !

 

Non ricomincerò mai ciò che ho fatto

Oh no…

Jouets de soldats morts Poursuivant des enfants

Ils courent dans ma direction Rêvent de musique

Aux couleurs de cristal

Qui réclament ma protection

 

Gioccatoli di soldati morti che inseguino bambini corrono nella mia direzione

sognano di musica dai colori di cristallo

che chiedono la mia protezione

Je ne recommencerai jamais ce que j'ai fait

Oh non, oh !

 

 

Les bras du soleil

Aux ongles de diamant Ont capturé mon esprit Sous un ciel de feu Mes souvenirs d'amour

Reviennent autour de ma vie

 

Le braccia del sole dalle unghie di diamante hanno catturato il mio spirito sotto un cielo di fuoco

i miei ricordi d’amore ritornano attorno alla mia vita

Je ne recommencerai jamais ce que j'ai fait

Oh non, oh !

 

 

Voleur d'étincelles

Et fabricant de fièvres Viendra pour arrêter le temps Et la mort vaincue,

Non, n'aura pas d'empire Dans le pays des vivants

 

Ladro di scintilli e fabricante delle febbri verrà per fermare il tempo e la morte sconfitta

no, non avrà impero nel paese dei vivi…


Je ne recommencerai jamais                                                                          Non ricomincerò mai ce que j'ai fait                                                                                                                                                             ciò che ho fatto…

Non, non, non, non, non jamais Je ne recommencerai jamais...

 

Je ne recommencerai jamais non non non

Je ne recommencerai Jamais

Jamais, non, jamais !

 

https://fr.wikipedia.org/wiki/Voyage_au_pays_des_vivants

Long Chris, l’autore di queste parole spiega che aveva trovato sul mercatino un ciondolo di vetro nel quale c’era un vero scarabeo e inciso al retro la data 15 giugno 1943, che, coïncidenza, è quella della nascita di Johnny…

Il resto del testo sono immagini psichedeliche, spiegate dalle parole No, no non ricomincerò mai più… con il LSD, l’hashish, ecc… no, no non ricomincerò mai ciò che ho fatto…

Per Claudio non si tratta di LSD ma delle sue salite: No, no non ricomincerò mai più quello che ho fatto…

Un giorno mi aveva fatto vedere il famoso ciondolo. È un disco metallico di 37 mm di diametro con, nel centro, uno scarabeo di ceramica/porcellana? tipo Egitto antico, largo 10 mm e lungo 15 mm, sospeso ad un laccio di cuoio.

Quando gli chiesi dove l’aveva trovato mi rispose che l’aveva comperato… sul mercatino…

20€ su https://www.catawiki.com/fr/l/71285835-broche-pendentif-argent- 17-g-5-cm-egypte-milieu-du-xxe-siecle

 

La leggenda racconta che gli era stato regalato da una ragazza, e certi aggiungono “durante il Festival dell’isola di Wight…” https://www.dailymotion.com/video/xjxi3f

Purtroppo il Festival dell’isola di Wight si tenne tra il 26 e 31 agosto 1970 allorché Claudio era nelle Dolomiti a fare, il 25 VIII 70 la via Zeni al Ciavazes con Armin e il 31 VIII 70 la Pederiva al Pordoi con Maurice Fayolle (vedi elenco delle vie)


All’epoca, non aveva né i soldi, né i mezzi di trasporto “quantico” che gli avrebbero permesso di passare dal 25 al 26 agosto dal Pordoi a Wight ed essere il 31 agosto sia a Wight che al Pordoi…

Un altro elemento è decisivo: Claudio notava più scrupolosamente nei suoi quadernetti i concerti di Johnny che le vie percorse, se fosse andato a Wight l’avrebbe certamente segnato da qualche parte. Purtroppo non c’è.

Questo per lo scrupolo di esattezza tanto caro a Claudio. Se poi qualcuno preferisce sognare Claudio al Festival di Wight con una bella ragazza che gli regala un ciondolo… questa è un’altra storia…

Anna Lauwaert 30.IX.23

 

Il 12 dicembre 1976 Johnny venne a cantare a Bruxelles. Claudio comperò due biglietti, i meno cari, perché bastava poter entrare nella sala, per il resto, se ne occupava lui… Difatti! Mi disse di vestire un vecchio jeans, una vecchia camicia, vestiti che si potevano stracciare e scarponi… ovviamente niente borsetta, niente che si potesse rubare o perdere e soprattutto avere le mani libere…

Quindi quella sera eravamo tra i primi ad aspettare davanti all’entrata. Quando le porte furono aperte, in un baleno, Claudio mi prese per mano e, scavalcando sedie, gente, servizio d’ordine e tutto il resto, mi trascinò, in un salto, al primo rango, direttamente dietro alle transenne, mi disse di aggrapparmi con forza alle transenne e di in nessuno modo lasciarmi strappare via dal mio posto… Io finì per stare in piedi su di una sedia e di calpestare delle mani… comunque eravamo al primo rango, davanti a noi i bodyguard e poi il palco… e Johnny a 5 metri… Bèh si… fu grandioso… Appena si entrava nella regola del gioco, si veniva trasportato dal carisma di Johnny, addirittura dal fascino della sua musica e così iniziai a capire Claudio.

 

Tra le parole delle canzoni ce n’erano di sconcertanti ed anche sconvolgenti. Esempi:

“Requiem pour un fou”, requiem per un pazzo: un uomo ha uccido la donna che ama a causa del suo amore troppo grande… “L’amavo tanto che per tenerla l’ho uccisa”… Non sono parole proprio politicamente corrette e forse oggi non si potrebbe più cantarle: si verrebbe condannato per incitazione e apologia di femminicidio.

Era prima della rivoluzione-culturale-cinese europea. https://www.youtube.com/watch?v=dkdRuWFzuL4


Je vous préviens, n'approchez pas Que vous soyez flics ou badauds Je tue celui qui fait un pas Je ne ferai pas de cadeau Éteignez tous vos projecteurs Et baissez vos fusils braqués Non, je ne vais pas m'envoler sans elle Dites au curé, dites au pasteur Qu'ailleurs, ils aillent se faire pendre Le Diable est passé de bonne heure Et mon âme n'est plus à vendre Si vous me laissez cette nuit À l'aube je vous donnerai ma vie À quoi me servirait ma vie sans elle? Je n'étais qu'un fou, mais par amour Elle a fait de moi un fou, un fou d'amour Mon ciel c'étaient ses yeux, sa bouche Ma vie, c'était son corps, son cœur Je l'aimais tant que pour la garder, je l'ai tuée Pour qu'un grand amour vif toujours Il faut qu'il meurt, qu'il meurt d'amour Le jour se lève, la nuit pâlit Les chasseurs et les chiens ont faim C'est l'heure de sonner l'hallali La bête doit mourir ce matin Je vais ouvrir grand les volets Crevez-moi le cœur, je suis prêt Je veux m'endormir pour toujours près d'elle Je n'étais qu'un fou, mais par amour Elle a fait de moi un fou, un fou d'amour Mon ciel c'étaient ses yeux, sa bouche Ma vie, c'était son corps, son cœur Je l'aimais tant que pour la garder, je l'ai tuée Je ne suis qu'un fou Un fou d'amour, un pauvre fou Qui meurt Qui, meurt d'amour, oh-oh-oh-oh

Source : Musixmatch Traduzione:

Vi avviso, non avvicinatevi. Che siate poliziotti o curiosi, ammazzo chiunque faccia un passo Non farò regali Spegnete tutti i riflettori E abbassate le pistole puntate No, non vado volare via senza di lei Dillo al prete, dillo al pastore Che altrove vanno a impiccarsi Il diavolo è arrivato presto E la mia anima non è più in vendita Se stasera mi lasci All'alba ti darò la mia vita A cosa servirebbe la mia vita essere per me senza di lei? Ero solo un pazzo, ma per amore Lei mi ha fatto un pazzo, un pazzo d'amore Il mio cielo erano i suoi occhi, la sua bocca La mia vita era il suo corpo, il suo cuore L'amavo finché per tenerla, l'ho uccisa Così che un grande amore vive sempre Deve morire, deve morire d'amore Il giorno sorge, la notte tramonta I cacciatori e i cani hanno fame È ora di suonare l'hallali La bestia deve morire stamattina Spalancherò le persiane Spezzami il cuore, sono pronto Voglio addormentarmi per sempre accanto a lei Ero solo un pazzo, ma per amore Mi faceva impazzire, impazzire d'amore Il mio cielo erano i suoi occhi, la sua bocca La mia vita era il suo corpo, lei cuore L'ho amata tanto che per mantenerla l'ho uccisa Sono solo un pazzo Un pazzo d'amore, un povero pazzo Che muore Chi muore d'amore, oh-oh-oh-oh

 

Johnny inizia sul palco a 17 anni, ha una carriera di 57 anni, ha tenuto 3253 concerti, 79 albums registrati, 23 films e muore il 5.XII.2017


Quasi tutte le sue canzoni sono dei successi, qualcuna però spicca come Gabrielle…

https://www.youtube.com/watch?v=LsoctV9emQg Gabrielle, mi bruci la mente, il tuo amore strangola la mia vita E l'inferno diventa come la speranza

Perché nelle tue mani muoio ogni notte

Voglio condividere qualcosa di diverso dall'amore nel tuo letto E ascolta la vita e non rimanere più senza fiato sotto le tue grida Oh finito, finito per me

Non voglio più vedere la mia immagine nei tuoi occhi

Dieci anni in catene senza vedere la luce, fu la mia condanna per amore E buona fortuna a chiunque voglia il mio posto

Dieci anni in catene senza vedere la luce, fu la mia condanna per amore Mi sono rifiutato di morire d'amore in catene

Gabrielle, fluttui nel mio cuore, è un'illusione di dolcezza E tu canti, è una voce di bambino

Con cui mi congeli il sangue

Voglio spiegarti che confondi il giorno e la notte Vorrei avvicinarmi a te, ma tu mi volti le spalle e scappi Oh, sai davvero cosa vuoi fare?

Non sarò più schiavo della tua carne

Dieci anni in catene senza vedere la luce, fu la mia condanna per amore E buona fortuna a chi vuole il mio posto, sì, il mio posto

Dieci anni in catene senza vedere la luce, fu la mia condanna per amore Mi sono rifiutato di morire d'amore in catene

Mi sono rifiutato di morire d'amore in catene Mi sono rifiutato di morire d'amore in catene Fonte: LyricFind

 

Però durante il concerto con Claudio, Johnny ne cantò una del 1971 che diventerà forse la più bella: “Que je t’aime” Quanto ti amo https://www.youtube.com/watch?v=V_o05vQEpQE https://www.youtube.com/watch?v=7LgMsR-jI1k https://www.youtube.com/watch?v=PfGstMC6neY

Quando i tuoi capelli si allargano Come un sole estivo E il tuo cuscino Sembrano campi di grano Quando ombra e luce Disegna sul tuo corpo Montagne, foreste E isole del tesoro Che ti amo, che ti amo, che ti amo


Che ti amo, oh che ti amo Quando la tua bocca è morbida Quando il tuo corpo diventa duro Quando il cielo nei tuoi occhi All'improvviso non più puro Quando le tue mani vorrebbero Quando le tue dita non osano

Quando la tua modestia dice di no Con una voce molto piccola

Che ti amo, che ti amo, che ti amo Che ti amo, che ti amo, che ti amo Quando non ti senti più figa E diventi un cane femmina E quando il lupo chiama Finalmente spezzi le tue catene Quando il tuo primo respiro Finisce con un urlo Quando sono io a dire di no Quando sei tu a dire di Oh quanto ti amo Oh, ti amo Quando il mio corpo sul tuo corpo Pesante come un cavallo morto Non lo so, non lo so più Se esiste ancora Quando abbiamo fatto l'amore Come gli altri fanno la guerra Quando sono il soldato Chi muore e chi lo perde Che ti amo, che ti amo, che ti amo Che io ti amo Che io ti amo

Fonte: LyricFind

 

Quindi quella sera del 12 dicembre 1976, Claudio ed io eravamo a un concerto come quelli che vedete sui video. Io aggrappata alla transenna e Claudio alla mia destra… eravamo tutti e due “in trans”… quando echeggiarono le prime note di “que je t’aime”, Claudio mi afferrò, mi strinse tra le braccia follemente.

È così capii che per Claudio le parole di Johnny non erano solo parole di canzoni, artificiali, messe insieme per cercare la rima. Per Claudio non era “secondo grado” bensì parole vere, al primo grado, dette così senza veli, né pudore, parole al loro senso primordiale…

 

Poi Johnny cantò una canzone uscita il 30 giugno del 1976 e che si vede nel video proprio come noi l’abbiamo vista e vissuta… e nella quale le parole erano ancora più esplicite: “amami più forte, impediscimi di distruggermi” e durante la canzone Claudio si mise a vibrare, fremere, tutto il suo essere tremava e mi stringeva sempre più forte… Era fuori di sé…

Ma l’avrei veramente capito solo anni più tardi… https://www.dailymotion.com/video/xnfe2

1976 (Pallavicini / T. Cutugno / adapt P. Delanoe) Dietro l'amore

Derrière l'amour Il y a Tout une chaîne De pourquoi Questions que l'on se pose Il y a des tas de choses Des pleurs qu'on garde sur le cœur Et des regrets et des rancœurs Des souvenirs éblouissants Et des visions de néant Donne- moi donne moi ton corps Pour y vivre et pour y mourir Aime-moi, aime-moi plus fort Empêche-moi de me détruire Derrière ton amour Qu'est-ce qu'il y a


Qui est cette femme auprès de moi Quand tu me dis je t'aime Est-ce bien moi que tu aimes Et lorsque tu me fais l'amour Est-ce que tu fais vraiment l'amour Derrière ce grand rideau noir Tu m'interdis d'aller voir Donne-moi donne moi ton corps Pour y vivre et pour y mourir Aime-moi, aime-moi plus fort Empêche-moi de me détruire J'ai besoin de tes mains sur moi Et de ton souffle et de ta voix De tes joies de tes plaintes De tes cris de tes craintes J'ai tant besoin de ton corps Donne-moi donne moi ton corps Pour y vivre et pour y mourir Aime-moi, aime-moi plus fort Empêche-moi de me détruire

Traduzione

1976 (Pallavicini / T. Cutugno / adattamento P. Delanoe) Dietro l'amore

Dietro l'amore C'è Un'intera catena Perché Domande che ci poniamo Ci sono molte cose Grida che portiamo nel cuore E rimpianti e risentimenti Ricordi abbaglianti E visioni del nulla Dammi, dammi il tuo corpo Vivere lì e morire lì Amami, amami più forte Impediscimi di distruggermi Dietro il tuo amore Chi è questa donna accanto a me? Quando mi dici che ti amo Sono davvero io quello che ami? E quando fai l'amore con me Stai davvero facendo l'amore? Dietro questa grande tenda nera Mi proibisci di andare a vedere Dammi, dammi il tuo corpo Vivere lì e morire lì Amami, amami più forte Impediscimi di distruggermi Ho bisogno delle tue mani su di me

E con il tuo respiro e la tua voce Delle tue gioie delle tue lamentele Dei tuoi pianti delle tue paure Ho così tanto bisogno del tuo corpo

Dammi, dammi il tuo corpo Vivere e morire Amami, amami più forte Impediscimi di distruggermi

 

Il concerto di Johnny, per me, fu una rivelazione perché aveva svelato il fondo dell’anima di Claudio: “sono solo, disperato, amami più forte, impediscimi di distruggermi…”

 

Claudio era rimasto grande ammiratore dei classici francesi. Nel 1975, durante un viaggio coi suoi genitori, a Saint Malò, egli non aveva dormito nella stanza riservata in albergo ma era andato col saccopelo a bivaccare al piede della tomba di Chateaubriand per “riposare in faccia all’oceano come il grande uomo”…

 

Con le parole delle canzoni di Johnny sotto gli occhi è chiaro che questo non è poesia al senso della poesia che noi abbiamo studiata a scuola, cioè testi degni del titolo di poesia, che siano poi i classici francesi o italiani… Le


canzoni di Johnny non sono né Baudelaire, né Carducci, e nemmeno Pascoli… e nemmeno i testi dei cantautori come Fabrizio De André, Paolo Conte, Luccio Dalla o tanti altri straordinari poeti degni di questo titolo...

Quindi, nel caso Johnny, non era l’arte della poesia, la raffinata forma poetica che interessava Claudio bensì il senso primario delle parole e il coraggio di gridarle apertamente, senza ritegno, paura, pudore… un po’ come quando Zucchero canta: “ho bisogno d’amore, per dio…” ma Zucchero è più blando, educato, elegante… Johnny è più “écorché vif” scuoiato vivo, l’anima straziata, a nudo…

Claudio stesso non riusciva a dirlo, ma riusciva a gridarlo attraverso le canzoni di Johnny… Difatti, Claudio non era mai diventato adulto. La sua anima era rimasta prigioniera della sua infanzia, adolescenza. Oggi si direbbe che non aveva superato lo shock post traumatico… il ché va nel senso della mia ipotesi.

Alla fine del 1976, era uscito un disco che non ebbe successo e ritracciava la storia di Hamlet col tema principale “Je suis fou…” (sono pazzo). Era un opera rock ma che fu abbandonata a causa del flop del disco.

Per Claudio, il tema della pazzia era molto presente ed egli si autodefiniva “paranoico” e diede questo nome ad una delle ultime vie che aprì nel massiccio di Freyr.

 

Qualche brano di Hamlet: https://www.youtube.com/watch?v=ibmJX-tGAO0 https://www.youtube.com/watch?v=w-X5OsbXaMc https://www.youtube.com/watch?v=CYXVHenesQU https://www.youtube.com/watch?v=rMbvYhYdiqk https://www.youtube.com/watch?v=6a3969YS4f0

 

Ero riuscita a procurarmi il disco e lo ascoltammo durante la vigilia di Natale. Claudio doveva presenziare alla cena coi suoi genitori. Io lo aspettavo nel suo appartamento accanto. Durante tutta la cena egli si serviva, poi, col bicchiere di champagne, faceva un andata col piatto pieno. da me e ritornava col piatto vuoto. Ci divertimmo…

Quando molto più tardi lo raccontai a sua madre mi rispose che non avevano capito quel curioso comportamento ma siccome egli sembrava felice, i suoi genitori non osarono fare domande per paura degli scatti di malumore che spesso rovinavano la loro convivenza.


Con l’uscita del libro di Monica Malfatti che come titolo riprende le parole angosciate di Claudio, “Dimmi che mi ami”… mi sono tornate in mente queste parole delle canzoni di Johnny… parole che erano state dei gridi di aiuto, degli SOS d’amore… e che s’iscrivono nella mia ipotesi di dramma vissuto durante la sua infanzia… Parole che nessuno aveva prese sul serio…

 

Come già detto: nei documenti di Claudio trovai un cartoncino che tra il 1968 e il 1973 elenca 23 nomi femminili con una statistica sotto forma di segni: cerchietto, crocetta, stellina ecc a destra dei nomi… Erano state amiche molto intime. Purtroppo nessuna di noi è stata capace ad ispiragli fiducia al punto di permettergli di vuotare il sacco…

 

Claudio muore da solo, cadendo da una falesia lungo la Mosa, non a Freyr, ma in un massiccio che si chiama “le Paradou” il paradiso… aveva 39 anni, come Emilio Comici…

Claudio aveva soccumbuto a, come diceva Pavese, “il cancro che rode l’anima”, perché nessuno aveva ascoltato cosa dicevano le parole.

 

Anna Lauwaert 12.IV.24

 

I testi delle canzoni e le traduzioni provengono da Internet e Youtube.

 

 

I          - Perché l’alpinismo? (alpinismo “commerciale” escluso)

Prima viene la domanda: “Alpinismo, perché?” Poi segue la risposta: “Alpinismo perché:…” Però adesso segue un’altra domanda: “Perché l’alpinismo?”

Perché, una persona, per rispondere ai suoi tormenti esistenziale sceglie l’alpinismo invece della barca a vela o della bicicletta? E vice versa “Perché una persona sceglie la bicicletta invece dell’alpinismo?” Anzi, quale è la differenza tra arrivare in cima ad una montagna, lungo il versante erboso, con la bici ed arrivare sulla stessa cima però percorrendo l’altro lato cioè la parete rocciosa?

 

Noi, nativi delle Fiandre, siamo a pochi kilometri dal mare, invece a 1000km dalla montagna. I nonni di Claudio erano di Loppem a 25km da Ostenda. Suo


nonno era stato sindaco di questa città. Sarebbe stato logico e facile di praticare barca a vela, invece, perché la montagna?

 

Claudio scopre la montagna durante i viaggi coi suoi genitori che lo affidano a Lino Lacedelli per le sue prime arrampicate.

Che cosa ha fatto che ci avesse preso gusto?

 

Similmente, ho scoperto la montagna all’occasione di una vacanza decisa mio malgrado. Per me “vacanze” significava un mese sdraiata sugli scogli a cuocere al sole o sguazzare nel mare caldo.

In Sud Africa, avevo visto le montagne Drakensbergen (montagne dei draghi) e la Table Mountain di Cape Town ma non mi avevano fatto impressione. Invece, entrando nel Vallese, trovarmi di fronte ai picchi innevati delle Dents du Midi, fu il colpo di fulmine. Durante le nostre passeggiate, anzi vere escursioni, mi venne l’ossessione di voler andare sulle cime. Così, finalmente, raggiunsi il Club Alpino Belga ed andai ad arrampicare a Freyr nell’intento di allenarmi per andare sulle cime, camminando, si, ma, più bello ancora, arrampicando…

 

Suppongo che anche Claudio abbia avuto quella stessa attrazione per le cime, però, più che l’andare sulle cime, gli importava l’arrampicare sulle pareti per raggiungere le cime, vale a dire che la via era più importante della meta.

 

Però c’è una grande differenza tra barca a vela, bicicletta o altro sport e la montagna/roccia. Con la barca a vela c’è di mezzo la barca, come c’è di mezzo la bicicletta o il pallone o il paracadute, ecc… Invece in roccia c’è come dice Desmaisons: “La montagna a mani nude”… cioè il contatto diretto corpo a corpo con la roccia, con la montagna. È un rapporto carnale, estremo. Se la barca affonda c’è il salvagente e magari il dingi; se la bici si rompe, si continua a piedi… Invece in roccia o semplicemente in montagna, si è nudo, indifeso e basta un brusco cambiamento meteorologico per provocare la tragedia come al Frêney… Qui, al Naret, diverse persone sono morte di freddo e sfinimento a 100m dalla macchina a causa della nebbia… Su di una parete rocciosa basta che si stacchi un appiglio o che cada un sasso o una manovra sbagliata per provocare la caduta. Il ché conferisce il valore sacro al compagno di cordata perché egli è il garante della vita.

La Montagna possiede una componente morale e mistica. L’alpinismo non è uno “sport”. Difatti, la montagna è la dimora degli dei ed è quando Mosè sale sulla montagna che Dio gli parla.


Il fascino della montagna risiede nel suo carattere estremo: l’assoluto silenzio, la totale solitudine, il legame vitale tra i due membri di una cordata che sono responsabili della vita, reciprocamente, ma anche l’intensità di questo legame al punto di non aver bisogno di parlare e di sentire solo al movimento della corda come prosegue il compagno e quindi come prosegue la roccia stessa.

Infine, stare sulla cima di una montagna significa stare sul confine tra la terra e il cielo, l’universo: è stare sul bordo del infinito, anzi, i piedi toccano terra ma il corpo sta nell’infinito.

 

La magia della montagna risiede nelle sue energie: i corsi d’acqua, laghi, grotte sotterranei, il magnétismo delle rocce con alto tenore di metalli come il ferro o addirittura la radioattività.

La sintonizzazione della nostra energia con quella della montagna, ci permette di uscire dai nostri limiti corporei e scioglierci con lei al punto di perdere la consapevolezza del nostro corpo e, liberati dagli ormeggi, essere parte dell’energia cosmica..

L’universo è composto da “particelle”. Queste particelle sono organizzate: qualche volta formano astri, qualche volta gerani, qualche volta umani…

Il nostro corpo è costituito da “particelle” organizzate, contenute dalla nostra pelle che è una forma più densa di organizzazione di particelle, animato da energie sottili come l’elettricità, il magnetismo o l’osmosi, che si muove nell’universo che è, pure lui, una organizzazione di particelle.

Alla morte l’organizzazione si disfa e le particelle continuano la loro strada. La vita si spegne: il soffio, l’anima se ne vanno nell’infinito.

 

Camminando in montagna viene quello stato in cui la contenzione delle nostre “particelle” si scioglie lasciandoci fluire nell’universo.

Non si ha più né caldo, né freddo, né fame, né stanchezza. Non si sente nemmeno più né pioggia, né neve. Non c’è più nessuna apprensione né della nebbia, né degli orsi, né dei crepacci, si va in totale distacco con tranquilla certezza, fiducia, pace…

È uno stato di grazia simile a ciò che raccontano le persone che hanno vissuto un’intensa esperienza mistica o di morte imminente e sono “usciti” dal loro corpo, liberati dal suo impedimento, addirittura dalla consapevolezza del proprio corpo.

Forse è, inconsapevolmente, quel superamento del limite del nostro corpo che cerchiamo, un diluirci nell’universo, un’aspirazione verso l’aldilà.


La tragedia di Claudio era di “essere solo e disperato”, ma nel contempo viveva come lo dice Comici: “la voluttà di superare, da solo, il vuoto e lo strapiombo”…

 

Quando Terray parla della conquista dell’inutile, non è “l’inutile” ma piuttosto l’in-valorizzabile, l’im-pagabile, l’in-finito. Non è nemmeno una conquista ma un raggiungimento, una condivisione di uno stato di coscienza che supera la consapevolezza simile alla meditazione trascendentale, alle esperienze di uscita dal proprio corpo come viene studiata dalla CIA.

Saint-Exupéry, che era uno dei primi piloti dei voli postali sopra il Nord Africa, fa dire al Piccolo Principe che il suo corpo è una limitazione/impedimento del suo essere…

 

Claudio aveva questi aspetti schizofrenici: da una parte la tragedia della solitudine, il suo grido di bisogno d’amore e nel contempo l’aspirazione verso quel “massimo” che sarebbe i Rolling Stones a fondo ai piedi della Civetta ed essere da solo in parete…

 

Perché l’alpinismo? Lo dice meglio Giorgio Livanos: alpinismo per andare al di là della verticale, cioè, come potrebbe dire Heinz Steinkötter l’alpinismo è uno slancio verso Dio.

Anna Lauwaert 8.V.24



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